Perché Berlusconi non incontra il Dalai Lama?
15 Luglio 2008
In chiusura del vertice del G8 in Giappone, è andato in onda una mediocre soap sulla vexata quaestio della partecipazione dei capi di stato o di governo all’apertura dei giochi olimpici a Pechino in agosto.
Dalla brutale repressione dei dissidenti a Llhasa il 16 marzo, è stato tutto un indignarsi e uno stilare di testi turgidi di equilibrismo diplomatico per esprimere insoddisfazione e agitare il ditino nei confronti di Pechino. Non sapendo beninteso assolutamente cosa fare per proteggere i monaci tibetani e le minoranze in genere maltrattate o perseguitate dal regime cinese, è cominciato subito un triste balletto di comunicati. Xavier Solana, pochi giorni dopo i fattacci e mentre c’era ancora l’ondata di piena della commozione della opinione pubblica europea, si è affrettato a dire che lui l’8 agosto a Pechino ci sarebbe andato. Roba da far sembrare Richard Gere un gigante protettore dei diritti umani.
Sono seguite in ordine sparso annunci piuttosto confusi sulla partecipazione o meno di questo o quello. Bush per la verità pare proprio che vada, Gordon Brown forse no, ma anche la Merkel declina. Berlusconi non ha ancora deciso mentre la sorpresa viene da Sarkozy. La sua presenza alla cerimonia di apertura era stata astutamente legata al buon esito dei colloqui tra dirigenti cinesi e rappresentanti del Dalai Lama, che per inciso viene descritto da Pechino come un traditore e una canaglia. Bene, gli incontri ci sono stati, due nel mese di luglio ma il risultato zero non sembra pesare. Sarkozy andrà, forse non tanto gradito dopo gli incidenti a Parigi durante il passaggio della fiaccola olimpica, comunque nella duplice veste di capo dello stato e presidente di turno europeo. Alcuni sarcastici commentatori francesi fanno notare che tutti questi volta faccia sono interpretati dai cinesi come veri e propri atti di sottomissione. Che naturalmente a loro non bastano, visto che si vuole impedire un incontro con il Dalai Lama che sarà in Francia a metà agosto.
Credo a questo punto ci sia bisogno di un gesto dignitoso da parte della nostra diplomazia e Frattini, ne sono certa, è assai sensibile. Si tratta di individuare una formula, una data, un formato che stabilisca un incontro tra il presidente del Consiglio e il Dalai Lama. Servirebbe a chiarire una volta per tutte due questioni: l’osservanza del principio del “One land, one China” che Pechino pretende; il rispetto per le minoranze e la tutela dei fondamentali diritti umani che stanno alla base dei Trattati europei e che vanno costantemente ribaditi ai nostri interlocutori, ignorando le loro inevitabili rimostranze.