Perché conviene andare subito al voto

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Perché conviene andare subito al voto

29 Gennaio 2008

In questa sede vorremmo
svolgere una breve riflessione, fatta con spirito non preconcetto e non
partigiano, per dimostrare come le elezioni politiche siano l’esito più logico
e conveniente della crisi di governo apertasi la settimana scorsa con il voto
di sfiducia del Senato. A tal proposito non vale la pena di richiamare il
ritornello che Prodi ha spesso ripetuto in questi sedici mesi. Il leader della
defunta Unione ha sempre dichiarato con decisione: “Dopo di me non ci saranno
maggioranze alternative in parlamento, si può solo andare a votare”. È un
ritornello che tutti conosciamo e, sia detto per inciso, è anche una delle
poche cose giuste che Prodi abbia sostenuto nella sua seconda (e davvero poco
gloriosa) esperienza da premier.

Partiamo invece da una
proposta che si presenta come una proposta sensata e responsabile, e che in
queste ore viene ventilata da più parti. L’idea di un governo istituzionale a
termine con il compito di approvare una nuova legge elettorale al posto del
“porcellum”. Per capire l’assurdità di una simile proposta basta fare una
semplice considerazione. Non c’è bisogno di una nuova legge elettorale perché
una più soddisfacente legge elettorale risulterebbe dal referendum “Guzzetta”
che il 16 gennaio la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile. In caso di
vittoria dei “sì” (risultato quasi scontato) avremmo uno sbarramento non del
tutto indecente (8% al senato, 4% alla camera), inoltre il premio di
maggioranza sarebbe assegnato al partito che ha ottenuto più voti. Un governo
istituzionale non sarebbe mai in grado di varare una legge migliore di quella
che risulterebbe dal referendum, cioè una legge capace di contrastare la
frammentazione partitica e di aprire la strada a un (almeno tendenziale) bipartitismo.
Al contrario un governo istituzionale a termine varerebbe con ogni probabilità
una legge anche peggiore della già pessima “bozza Bianco”. Peraltro, anche
andando a votare con la legge attuale basta far sì che i partiti maggiori si
presentino da soli perché il vincitore riscuota il premio di maggioranza senza
doverlo dividere con le formazioni minori e minime.

D’altronde, per far sì che
il sistema politico italiano possa funzionare meglio di quanto funzioni adesso
la sola legge elettorale non è uno strumento sufficiente, servono invece alcune
riforme. Limitandoci a un elenco schematico possiamo indicare: la
stabilizzazione dell’esecutivo, il superamento del bicameralismo simmetrico, il
drastico sfoltimento del formato partitico. Questi sono obiettivi che si
possono raggiungere con una riforma costituzionale mirata e con una modifica
dei regolamenti parlamentari. Un governo a termine non è in grado di varare una
riforma costituzionale, per quanto limitata essa possa essere. Basti pensare
che il governo Berlusconi per partorire la propria riforma (poi bocciata dal
referendum confermativo) si ridusse all’ultimo scorcio di legislatura. Quanto a
cambiare in meglio i regolamenti parlamentari, alzando cioè drasticamente la
soglia di deputati o di senatori per costituire un gruppo autonomo, a farlo non
possono essere due camere in condizione di prorogatio, i cui componenti
sia già proiettati sulle elezioni prossimo venture.

Meglio, molto meglio,
andare al voto. Dopo il voto, chiunque sarà il vincitore, non sarà certo
impossibile trovare un accordo tra i leader dei maggiori partiti, che saranno
meno condizionati dai ricatti delle formazioni minori e delle enclaves
parassitarie. In quel momento essi si troveranno, invece, nelle condizioni
ideali per evitare i rigurgiti partitocratici e le derive trasformiste.

In conclusione la proposta del governo istituzionale non è
né sensata né conveniente. È quella che si può definire una proposta di regime,
che lascerebbe il nostro sistema politico in una situazione di marasma e di
inconcludenza. Il voto è la soluzione migliore possibile nelle condizioni date.
Esso apre, infatti, una prospettiva ragionevole di chiudere in modo definitivo
la lunga e faticosa transizione italiana.