Perché così tante donne hanno abbandonato Hillary

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Perché così tante donne hanno abbandonato Hillary

11 Novembre 2016

Hillary Rodham ha iniziato la sua carriera politica nella destra. Fu volontaria nella campagna elettorale di Barry Goldwater nel 1964, poi, repentinamente, si trovò nel lato sinistro della storia. Divenne allieva di Saul Alinsky, il guru di quell’estrema sinistra che sogna la democrazia diretta e l’autogestione comunitaria. Quando nel 1968 andò a Chicago per incontrarlo, il vecchio rivoluzionario le offrì un lavoro come community organizer – l’equivalente dell’‘agitatore professionale’. Ma Hillary non accettò, “pensavo che il sistema si potesse cambiare dall’interno”. Dimostrò da subito i chiari progetti politici che maturava nella sua coscienza. Ma il fascino che quell’uomo aveva esercitato su di lei traspare dalla sua tesi di laurea: “esiste una sola lotta. Un’analisi del modello Alinsky”. 

Quando il marito divenne presidente, le esigenze della sua immagine politica la costrinsero a nascondere ogni sorta di legame con Alinsky. La sua tesi di laurea venne sigillata e rimase inaccessibile fino al 2002 – da allora il testo è consultabile previo appuntamento nella biblioteca del College. La Clinton, prima di Obama, è tra quelli che si sentono “dalla parte giusta della storia”. Una storia che doveva essere talmente giusta, da indurla alla convinzione di cambiarla e separarla dalle tradizioni che troppo le ricordano (anche) quella dimensione cristiana, e cattolica, che tanto detesta. Perché Hillary è dell’idea che, per raggiungere il risultato che una certa visione del mondo si pone, la “visione” vada imposta. “Codici culturali profondamente radicati, credenze religiose, e condizionamenti strutturali dovranno essere cambiati”.  Ma, provvidenzialmente, la storia le ha voltato le spalle.

La donna che del verbo del #loveislove s’è fatta sacerdotessa e che doveva finire nei manuali come la prima presidente della storia americana, sognava di essere il modello esistenziale del femminismo presente e futuro. Ma, quelle che i benpensanti volevano in prima fila per rivendicare il femminismo leso, sono state le prime a voltarle le spalle. Da donna, in quelle donne che le hanno “negato” il voto, riconosco il rifiuto di quell’atteggiamento per cui “femmina, è meglio, femmina è giusto”. Solo perché donna poteva essere la sola a proporre perfette politiche per donne?  E le americane non l’hanno votata. Il dato rilevante è proprio questo: il voto femminile ha bocciato quel suo atteggiamento mistificatore, per cui l’essere donna dovrebbe essere sufficiente a garantire le altre donne, e costituisce comunque un elemento di positività.

In realtà dietro questa maschera c’è un preciso orientamento politico e ideologico, tant’è vero che mentre oggi le vestali del veterofemminismo piangono la mancata elezione di Hillary, altrettanto non accadrebbe se in ballo ci fosse Marine Le Pen, o comunque una donna di destra. Insomma, donna è bello solo se si tratta di un’esponente della sinistra. Dice Martha Nussbaum, considerata “una delle filosofe più rispettate al mondo” e convinta che la vittoria di Trump sia il simbolo del sessismo che affligge il Paese: “Il potere della misoginia è fortissimo. Proprio per questo bisogna continuare a lottare contro di esso”. Ma a quanto pare Hillary non è “la voce” delle donne. Anzi. La Clinton è la prova che le battaglie ideologiche, quelle sul “genere” come altre, soccombono alla realtà.

Si è sempre sentita una predestinata, e ora gioca a dadi con il destino degli illusi. Quello patinato di morale, ma colmo di disprezzo verso il popolo, di chi crede di essere il bene da imporre. È dagli anni in cui era un’attivista al College che Hillary sognava la stanza ovale. Ha studiato per diventare la donna più cinica del pianeta e, da qualche ora, è alla prese con la versione di sé, costruita scientificamente, che le si ritorce conto. Chissà se sopravvivrà a se stessa.