Perché era (ed è) necessario proseguire la legislatura
27 Agosto 2010
Quest’anno la politica italiana non ha conosciuto la consueta pausa estiva. Il dibattito non ha avuto interruzioni, proseguendo anzi con toni più accesi del solito.
Il nuovo corso, però, non è un frutto positivo della globalizzazione, che impone anche alla nostra classe politica una più alta produttività nel lavoro, ma va ascritto al fortissimo rigurgito partitocratico che ha caratterizzato gli ultimi mesi. Intendiamoci, non sono i toni esasperati che ci preoccupano. La polemica è il sale della vita pubblica e le accuse, anche quelle violente, in una democrazia sanamente conflittuale possono starci benissimo. Quello che invece appare davvero inquietante è la ricomparsa di riti che pensavamo appartenere al passato.
I vertici di maggioranza con le varie componenti ben allineate (e guai a dimenticare una piccola "cosca" ben provvista di sigla identitaria); la ricomparsa del correntismo che si organizza anche in gruppi parlamentari autonomi; il confronto defatigante tra alleati nella logica dei nefasti governi di coalizione. Tutte cose che sono lontane mille miglia da una democrazia governante basata sul trasparente rapporto tra voto degli elettori e governo.
La via scelta per tamponare una simile situazione non è irragionevole e merita di essere perseguita. Rispetto alla crisi politica determinata dallo strappo di Fini, la risoluzione del governo di non forzare la mano verso le elezioni anticipate appare un atto di saggezza e non un sintomo di debolezza.
Riduttiva sarebbe anche una lettura politicista di questa decisione che la riportasse a un calcolo contingente (lasciare ad altri la responsabilità di una rottura definitiva). Il gioco del cerino è un rituale da prima repubblica che potrà appassionare i cultori della manovra tattica, ma che a un osservatore disincantato appare una forma degradata di lotta politica. Le ragioni che militano a favore di una prosecuzione della legislatura sono obiettive e non vanno trascurate. Il miglioramento della situazione di bilancio riscontratosi negli ultimi tempi mostra che la linea di rigore paga e non è bene metterla a repentaglio. Anche la ripresa economica, che s’intravede all’orizzonte, per essere incoraggiata richiede coerenza e continuità nell’azione di governo. Peraltro, l’elettore medio del PdL non ama le convulsioni pregiando in maniera particolare la stabilità politica. Un discorso che vale soprattutto per quella non trascurabile percentuale di votanti che hanno scelto il Popolo della Libertà non per ragioni fideistiche, ma in base a una calcolo di opportunità. La convinzione, cioè, che il centro destra dava maggiori garanzie di durata rispetto al centro sinistra.
Anche la decisione di concentrarsi su pochi punti programmatici sui quali verificare la tenuta della maggioranza è giusta. Richiamare alcune priorità (sicurezza, fisco, mezzogiorno, giustizia, federalismo fiscale) da mettere al centro dell’azione di governo è un modo per riallacciarsi a quella politica del fare che è stato l’emblema positivo della prima parte della legislatura.
Naturalmente non bisogna illudersi che la situazione sia tranquilla, anzi è facile prevedere che ci saranno nuove fibrillazioni, tensioni, polemiche dannose. Per questo sarebbe opportuno fornire alla maggioranza, e soprattutto alla sua leadership, un’arma ulteriore. Più volte negli ultimi due anni Berlusconi si è lamentato dei pochi poteri di cui dispone il presidente del consiglio. Per non ridurre questa osservazione a un tormentone polemico o a un comodo alibi politico sarà bene uscire dal generico e formalizzare una proposta di riforma costituzionale articolata in alcuni punti essenziali.
Aumento dei poteri del premier (rafforzando anche la sua legittimazione popolare), superamento del bicameralismo simmetrico, riduzione del numero dei parlamentari, definizione del potere di attivazione dello scioglimento delle camere. Certo un progetto del genere non potrà essere approvato in un breve volgere di tempo. Ma il metterlo in cantiere da subito significherebbe riportare al centro dell’attenzione il vero discrimine della politica italiana dal 1994 in avanti. Una contrapposizione, non sempre percepibile ma sempre presente, tra chi ritiene che la democrazia italiana debba incentrarsi su governi di legislatura con programmi definiti legittimati direttamente dal voto popolare e chi crede i tempi della vita politica debbano essere scanditi dal volere insondabile dei dirigenti di partito o di corrente.
In sostanza, per debellare la minaccia partitocratica che incombe sulla nostra democrazia occorre far ripartire subito l’iniziativa politica.