Perché gli uomini di Al-Qaeda hanno paura di San Valentino

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Perché gli uomini di Al-Qaeda hanno paura di San Valentino

13 Febbraio 2008

Il 14 febbraio è per la maggior parte dei giovani e degli innamorati la festa di San Valentino. Si tratta di una ricorrenza considerata da noi occidentali per lo più frivola e di scarso significato, ma non è così per i tanti, soprattutto giovani, che nel mondo arabo si battono ogni giorno al rischio della vita o del carcere per riaffermare anche le più basilari libertà individuali.

Il terrorismo di stampo jihadista, infatti, predica la cultura della morte che si contrappone a quella occidentale della vita e dell’amore. Per questo il 14 febbraio è uno degli appuntamenti che possono mettere in crisi la loro ideologia deviata e possono far venire alla luce i tanti che nei paesi arabi dicono si alla vita e all’amore. I primi ad aver paura della diffusione di una cultura di questo genere tra i giovani sono proprio gli uomini di al-Qaeda.

Per questo i seguaci di Osama Bin Laden hanno deciso di prendere di mira un’artista considerata la portavoce della festa di San Valentino tra i giovani arabi.

Si tratta della cantante siriana Asala Nasri che ha subito nei giorni scorsi minacce di morte da parte della cellula yemenita del gruppo terroristico. Secondo quanto ha riportato nei giorni scorsi la Tv satellitare ‘al-Arabiya’, la sua vita è giudicata in pericolo in occasione del concerto in programma il 14 febbraio nella città meridionale yemenita di Aden.

“Ti faremo fare la stessa fine dell’ex premier pakistano Benazir Bhutto – si leggeva nel messaggio fatto recapitare dai terroristi all’emittente araba – chiediamo a tutti gli yemeniti di schierarsi contro il concerto e vi confermiamo che l’organizzazione di al-Qaeda non permetterà che si svolga”. Nel comunicato le minacce di morte sono rivolte solo alla cantante siriana e non al suo collega, l’egiziano Isam Karika, che canterà con lei sul palco. “Non permetteremo che la nostra società venga corrotta – proseguiva il comunicato – così come salveremo i nostri giovani da queste depravazioni che sono contrarie alla nostra religione islamica”.

Nonostante le autorità locali cerchino di sminuire la pericolosità delle minacce e le condanne giunte dagli ambienti parlamentari islamici, solo tre mesi fa un gruppo di Ulema’ yemeniti ha emanato una Fatwa nella quale vietava l’organizzazione di concerti musicali all’interno del paese. Tra i firmatari di questa Fatwa c’è anche lo sceicco Abdel Majid al-Zindani, leader dei Fratelli Musulmani locali.

Se nello Yemen, patria della famiglia Bin Laden, si usano le minacce, in altri paesi ad intervenire contro questa ricorrenza sono proprio le istituzioni dello stato. Nel corso di questa settimana sarà vietata in tutta l’Arabia Saudita la vendita di rose rosse. La decisione è stata assunta dall’Ente “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” in vista dell’avvicinarsi del 14 febbraio. Secondo il giornale arabo “al-Quds al-Arabi”, quella che viene definita come la polizia religiosa del paese arabo, ha ordinato a tutti i fiorai o agli esercizi commerciali che vendono articoli da regalo di eliminare i fiori rossi e qualsiasi oggetto che abbia questo colore e che possa essere riconducibile alla festa dell’amore. Alcuni commercianti, che non hanno voluto rivelare i loro nomi per ragioni di sicurezza, hanno aggiunto di aver ricevuto la visita degli agenti della polizia religiosa islamica durante la notte per controllare che nei negozi non vi fossero oggetti di questo genere. Secondo gli Ulema’ islamici sauditi la festa di San Valentino è una minaccia per la società perché spinge i giovani ad avere rapporti al di fuori del legame matrimoniale.

Anche in Kuwait non mancano i paladini della lotta contro “la festa dell’amore” incarnati in due deputati islamici. “Il ministero del Commercio deve assumersi le proprie possibilità ed avviare un’iniziativa per porre fine alle celebrazioni di quella che viene definito festa di San Valentino”, è stato chiesto in un’interrogazione parlamentare, “Questa ‘festa dell’amore’ viola i principi della nostra religione – scriveva il parlamentare Jamian al-Harbsh – questa festa celebrata nel mondo il 14 febbraio distrugge la nostra morale e le società”. L’iniziativa trova il sostegno di un secondo parlamentare, Walid al-Tabtabai, che presiede la commissione parlamentare ‘contro le manifestazioni negative’. “Il parlamento si riunirà per discutere di questo – ha aggiunto – chiederemo l’intervento dei responsabili dei ministeri dell’Informazione, degli Interni e del Commercio per cercare il modo di eliminare questa festa dell’amore”. Fin’ora le autorità kuwaitiane non hanno vietato la celebrazione della festa di San Valentino e, come in molti altri paesi del mondo, i commercianti approfittano di questa occasione per vendere prodotti legati alla festa dell’amore.

Rose rosse e regalini stanno invadendo infatti i negozi frequentati dai giovani di molti paesi arabi, come il Marocco, dove invece la società civile è riuscita a mettere in un angolo i fondamentalisti e ad avanzare proposte di tipo opposto. Per la prima volta, infatti, proprio il 14 febbraio, verrà celebrata la giornata del dialogo berbero-ebraico. Ad annunciarlo è stata l’associazione agricola berbera del Marocco. In questa giornata verrà fondata nella città meridionale di al-Husseima la prima associazione di amicizia tra berberi ed ebrei e ciò avverrà volutamente in concomitanza con la festa dell’amore. Ad avere questa idea è stato il presidente del Partito democratico berbero del Marocco, Ahmad al-Darghani.

“Vogliamo che i berberi giochino un ruolo centrale per risolvere lo scontro tra gli arabi e gli israeliani – ha spiegato al-Darghani alla Tv satellitare ‘al-Arabiya’ – vogliamo essere parte terza ed aiutare a risolvere questo genere di problemi iniziando noi per primi da qui. Chiediamo a tutti gli arabi di distinguere tra gli interessi nazionali e quelli del popolo palestinese”. La decisione ha provocato non poche polemiche in Marocco, soprattutto da parte dei politici islamici. Secondo molti osservatori si tratta di una provocazione che fa seguito alla decisione del governo marocchino di non concedere al Partito democratico berbero lo status di formazione riconosciuta con diritto di svolgere attività politica nel paese.