Perché Grillo e grillini temono le riforme costituzionali

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Perché Grillo e grillini temono le riforme costituzionali

05 Giugno 2013

Adesso che la prospettiva di una riforma costituzionale comincia, per la prima volta dopo tanti anni di tentativi falliti e di occasioni mancate, a parere un obiettivo un po’ meno impossibile da perseguire, la scomposta e rabbiosa reazione di Grillo e del suo movimento non sorprende. Fare uscire il sistema politico dall’impasse in cui si è impantanato da troppo tempo, ridando capacità decisionale al governo è una prospettiva che toglie spazio ad un movimento politico che può prosperare solo nell’immobilismo e nella crisi. Consueta appare anche la divisione dei ruoli in commedia, tra il leader maximo e il capogruppo in senato. Il noto comico genovese tira fuori la logora equazione tra presidenzialismo e dittatura, evocando il fantasma di Licio Gelli e della P2 come lontani fautori del semipresidenzialismo.

Il cattivo che dovrebbe approfittare loscamente di tutto questo è naturalmente Berlusconi che, da indomito aspirante dittatore, vorrebbe acquisire una definitiva immunità con la scalata alla più alta carica dello stato. Vito Crimi, dal canto suo, spalleggia il leader ricorrendo a un vecchio numero della demagogia buon mercato: il “benaltrismo”. A suo avviso parlare di riforme costituzionali è una mania di oziosi politologi o di sfaccendati esponenti della casta dei politici, i problemi che preoccupano gli italiani sono ben altri, la disoccupazione, la crisi economica e via discorrendo.

Tuttavia, sarebbe errato rubricare queste reazioni trogloditiche come un semplice e inevitabile sottoprodotto della paura di veder ridotto il proprio spazio vitale e annullata l’incidenza politica dei cinque stelle. Al di là del residuo paretiano che le prese di posizione di Grillo e Crimi rivelano, esse discendono dalla concezione dei rapporti politici propria del movimento.

Per capirlo basta rileggersi il programma elettorale dei grillini nelle parti dedicate allo stato e i cittadini. In questa materia le misure proposte son improntate a un carattere rancoroso verso il ceto politico. Limite dei mandati elettivi (non più di due), riduzione degli stipendi e di altri privilegi. In materia di riforma costituzionale in senso proprio (bicameralismo simmetrico, forma di governo) nulla. Al contrario si lamenta che la nostra carta non è applicata ed è anche previsto un esame obbligatorio sulla costituzione per tutti i rappresentanti pubblici. Questo amalgama di conservatorismo costituzionale e misure che negano l’utilità di una classe politica configura una sorta di parlamentarismo acefalo che rifiuta il governo rappresentativo sostituendolo con un assemblearismo sessantottardo, dove la mistica del web si combina col qualunquismo.

Con tale ispirazione di fondo anche l’interessante proposta di allargare gli spazi di democrazia diretta (referendum propositivi e obbligo di discussione delle leggi d’iniziativa popolare) non risulta un utile correttivo a una democrazia governante autorevole e legittimata, ma accresce la sostanziale irresponsabilità degli equilibri di potere.

Peraltro lo zoppicante riformismo costituzionale dei pentastellati, per essere inteso nella sua valenza ultima, va inteso rispetto a un’altra caratteristica che contraddistingue il movimento. Grillo e i suoi seguaci sono fautori di un giustizialismo brutale e sbrigativo. La deriva assemblearistica in salsa streaming da loro prefigurata mortifica la classe politica, depotenzia l’esecutivo ma non mette nessun argine alla discrezionalità della magistratura. Letta in questa prospettiva, la iperdemocrazia che il comico genovese vagheggia non è una generosa proiezione utopica, ma solo un modo per sostituire la nostra malferma democrazia rappresentativa con una strisciante dittatura giudiziaria.