Perché il Libyan Political Dialogue Forum potrebbe far ripiombare il paese nel caos

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Perché il Libyan Political Dialogue Forum potrebbe far ripiombare il paese nel caos

Perché il Libyan Political Dialogue Forum potrebbe far ripiombare il paese nel caos

14 Novembre 2020

“Le elezioni in Libia si terranno il 24 dicembre del 2021”. Lo ha annunciato ieri sera il capo della Missione ONU in Libia (UNSMIL), la statunitense Stephanie Williams (nella foto), nel corso di una conferenza stampa rilanciata dai canali web delle Nazioni Unite a margine del Forum di Tunisi. La data non è casuale, perché coincide con il settantesimo anniversario dell’indipendenza del paese.

Entro i prossimi sessanta giorni i delegati dovranno nominare chi guiderà il governo e il Consiglio Presidenziale che gestirà la transizione e il paese fino alle votazioni, nonché la cornice “costituzionale” all’interno della quale operare, e la Williams non ha mancato di diffondere ottimismo a piene mani sugli esiti del negoziato.

Tutto bene, dunque, il lavoro procede spedito e la Libia si avvia verso una completa pacificazione. Stando alle dichiarazioni ufficiali sembrerebbe così, ma la situazione appare in realtà decisamente più complessa.

Gli obiettivi del Forum

Il Lybian Political Dialogue Forum (LPDF) ha avuto inizio il 9 novembre scorso a Tunisi con l’obiettivo di raggiungere la completa pacificazione del paese, costruire un governo di transizione riconosciuto da tutte le fazioni in lotta (composto da due organismi: l’esecutivo e il Consiglio presidenziale), redigere il documento politico-programmatico finale e indire, appunto, libere elezioni. Il rischio, però, è che questa iniziativa fallisca, in quanto le personalità che presumibilmente andrebbero ad occupare le posizioni chiave della nuova compagine governativa potrebbero risultare invise sia a diversi attori politici locali, sia alle potenze straniere interessate direttamente ai destini della Libia. Un esito simile riporterebbe velocemente la Libia nel caos. Per scongiurare questa eventualità coloro che andrebbero a comporre i due organismi di transizione dovrebbero essere percepiti quanto più neutrali e dialoganti possibile dagli schieramenti in gioco.

Un metodo di lavoro poco trasparente

In apparenza il Forum è stato concepito come una piattaforma di dialogo aperta, inclusiva e trasparente, capace di dare ampia rappresentanza a tutte le fazioni in campo e ai poliedrici interessi presenti nella società libica.

Di fatto, però, il negoziato è completamente nelle mani del delegato ONU Stephanie Williams, che ha personalmente selezionato la stragrande maggioranza dei partecipanti (49 su 75). Questa situazione sta facendo crescere un malcontento diffuso, aggravato dalla segretezza delle procedure adottate dai funzionari dell’UNSMIL e dalla palese manipolazione delle trattative in corso.

I quesiti di fondo sono due: quali sono i criteri in base ai quali sono stati scelti i delegati al Forum? In che misura le fazioni e i partiti libici sono stati coinvolti nella selezione?

A queste domande l’opinione pubblica mondiale non riesce ad ottenere una risposta convincente e tutto resta avvolto da un alone di mistero, che lascia aperti forti dubbi sull’effettiva imparzialità degli organizzatori e, più in generale, sull’approccio utilizzato.

I lavori del Forum continuano ad essere condotti a porte completamente chiuse e le notizie ufficiali diffuse all’esterno sono scarse e frammentarie, nonostante le discussioni in atto siano decisive per il futuro della Libia e dei paesi confinanti. Tutto questo amplifica tensioni e confusione: in assenza di informazioni ufficiali complete e dettagliate da parte dell’ONU, inevitabilmente il dibattito si concentra su quelle fatte filtrare attraverso le dichiarazioni agli organi di stampa dei singoli delegati, evidentemente interessati ad influenzare il negoziato e l’opinione pubblica a proprio vantaggio.

Tutto questo sta determinando un clima di sfiducia nei soggetti interessati, tanto libici quanto stranieri, alimentando l’impressione che il futuro del paese possa essere arbitrariamente condizionato dall’ex incaricata d’affari in Libia degli Stati Uniti, ovvero la stessa Stephanie Williams.

Inquietanti fughe di notizie

Il clima avvelenato e la segretezza con cui i funzionari ONU stanno portando avanti il loro lavoro diplomatico ha provocato in questi giorni una serie di inquietanti fughe di notizie, con gravi speculazioni politiche circa le decisioni che presumibilmente si andavano delineando. La diffusione di bozze d’accordo presumibilmente contraffatte ha costretto l’UNSMIL a diffondere un comunicato ufficiale con cui veniva dichiarato falso un documento circolato sui social network.

In realtà è possibile che alcuni delegati, allarmati dalle piega che stava prendendo la discussione, abbiano intenzionalmente favorito la circolazione pubblica di una bozza di accordo proprio per affossarla. Nel frattempo, nonostante la conferenza stampa tenuta dalla Williams, restano poco chiare alcune questioni della massima importanza, come l’ubicazione delle sedi degli organismi di governo transitori.

Qualche indicazione, in questo senso, possono fornirla proprio le notizie non ufficiali trapelate: qualora la bozza circolata non fosse totalmente falsa, sembrerebbe che i ministeri e le autorità governative continueranno ad avere sede a Tripoli e non a Sirte, come si era ipotizzato nella fase preparatoria al Forum, giudicata più idonea a un corretto e imparziale funzionamento dell’attività amministrativa, sia per la sua posizione geografica (esattamente al confine tra Tripolitania e Cirenaica), sia per la scarsa presenza in città di elementi legati a gruppi islamisti, i quali sono invece fortemente presenti nella capitale e rappresentano una costante minaccia per tutti gli esponenti politici locali e stranieri.

Con gli islamisti al governo riprenderebbero le ostilità

Qualora il forum nominasse nel nuovo governo esponenti legati ai gruppi islamisti radicali – ai quali gli USA sembrano orientati a dare il loro sostegno – Tripoli diventerebbe immediatamente il centro propulsore del fondamentalismo islamico in Nord Africa. Uno dei candidati più papabili alla carica di primo ministro è proprio Fathi Bashagha, uomo vicino ai Fratelli Musulmani, attuale ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale (GNA), accusato di crimini di guerra, tratta di esseri umani e torture. Difficilmente un personaggio del genere verrebbe accettato dalle altre fazioni libiche: invece di garantire pace e stabilità al paese, una simile scelta trascinerebbe rapidamente la Libia in un nuovo conflitto, non solo con il nemico di sempre di Bashagha, il generale Khalifa Haftar, ma anche con le milizie tripoline sue avversarie.

Si tratta di un’ipotesi tutt’altro che peregrina, alla luce dei buoni rapporti che Bashagha intrattiene con la Williams e in virtù anche dell’esigenza espressa dai gruppi politici che controllano Misurata, di cui il ministro del GNA è espressione, di avere un proprio uomo alla guida del governo di transizione. Qualora entro sessanta giorni i 75 partecipanti al Forum non riuscissero a trovare un accordo su chi eleggere nel governo e nel Consiglio Presidenziale, l’UNSMIL avocherebbe a sé la decisione.

Oltre alla necessità di trovare un compromesso sui nomi e sul “quadro costituzionale” del paese tra fazioni della Libia occidentale e della Libia orientale, sta emergendo in queste ore un duro scontro in seno ai gruppi politici della Tripolitania, finora sotto il controllo del GNA, su chi debba occupare le cariche destinate in quota alla parte occidentale del paese. Secondo quanto riferito da Agenzia Nova, che cita fonti consultate dall’emittente televisiva Al Arabiya, i rappresentanti della regione occidentale sarebbero divisi in tre blocchi: oltre a quello di Misurata di cui abbiamo detto, un altro blocco appartiene all’autorità di Tripoli, la capitale, che lavora per sostenere la sopravvivenza di Fayez al-Sarraj come presidente del Consiglio presidenziale, mentre l’ultimo rappresenta le città della costa occidentale “Zawiya – Sabrata – Zuwara – Warshafana – Zintan”.

Rispetto all’ipotesi Bashagha, il riaffidamento dell’incarico di premier a Fayez al-Sarraj verrebbe considerato come una soluzione più accettabile, in quanto il leader del GNA viene percepito in questa fase come più neutrale. Un’altra ipotesi costruttiva, potrebbe essere quella di affidare la guida dell’esecutivo a Ahmed Maiteeq, attuale vice di Sarraj, per il suo profilo di uomo d’affari pragmatico e di orientamento laico.

Le simpatie dimostrate finora dai dirigenti americani della missione ONU verso esponenti della Fratellanza Musulmana renderebbero invece il quadro politico ancora più frammentato, approfondendo il solco che divide la Tripolitania dalla Cirenaica e le milizie laiche da quelle islamiste.

Immaginato come un’assise in grado di condurre la Libia verso un processo di riunificazione e pacificazione, il Forum di Tunisi rischia di produrre risultati diametralmente opposti, sia all’interno che all’esterno del paese. Tutti coloro che vedono col fumo negli occhi la possibilità che esponenti dei Fratelli Musulmani conquistino il potere in Libia reagirebbero infatti duramente e con tutte le forze disponibili. E un’ulteriore destabilizzazione del paese avrebbe immediate ripercussioni sull’intera area mediterranea, non solo sul Nord Africa, ma anche sull’Europa.

Insomma, visti i presupposti, sarebbe forse meglio lasciare interamente ai libici il compito di trovare tra di loro un punto di caduta del negoziato accettabile per tutti, piuttosto che lasciarne la guida a un “manager” americano estraneo alle logiche politiche del paese.