Perchè il M5S funziona solo se rincorre: il crollo grillino

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Perchè il M5S funziona solo se rincorre: il crollo grillino

Perchè il M5S funziona solo se rincorre: il crollo grillino

29 Maggio 2019

Campane a morto per il MoVimento 5 Stelle, ma forse è solo un’esagerazione di chi non vede l’ora di ripulire il campo dall’imprevisto grillino. Partiamo dai fatti: una flessione elettorale c’è stata e va tenuta in considerazione. L’analisi presentata è abbastanza complessa, per cui mettetevi pure comodi: prendete una birra dal frigo e mettete in atto quei riti utili a chi sa che sta per impiegare, speriamo non inutilmente, un po’del suo tempo. Primo: i pentastellati avrebbero dovuto “aprire come una scatola di tonno” le istituzioni politiche, ma ora ci abitano dentro. E questo è il primo problema di Luigi Di Maio: un conto è rincorrere, un altro è avere la cintura di campione allacciata sul ventre e non avere mezza idea su come sfruttarla. Facciamo un salto nel mondo del wrestling. Voi direte “che c’entra!”, ma provo a dimostrarvi subito come tutto ruoti attorni alla narrativa. Nello sport entertainment più celebre negli Stati Uniti, nel 2013, spiccava la figura di Daniel Bryan: un atleta amatissimo dal pubblico.

Le arene tutte lo avrebbero voluto nel main event – il match più importante – del pay per view, cioè l’evento mediatico, principale della stagione, ma la WWE, la compagnia per cui combatteva e combatte, sembrava di tutt’altro avviso: troppo piccolo e non adatto a incarnare il volto aziendale. Una sorta di ribellione internauta provocata dai fan, però, quasi obbligò il patron della baracca: da Stanford, per una serie di motivazioni che ora è poco utile elencare, decisero che Daniel Bryan non solo avrebbe preso parte all’ultimo match di Wrestlemania, quello centrale appunto, ma che avrebbe pure vinto il titolo maggiore. Come saprete il wrestling è uno sport pre-determinato. Bene, il ragazzo nativo di Aberdeen quella notte ottenne effettivamente tutto quello che poteva, chiudendo la serata tra un tripudio di cori giubilanti e fuochi d’artificio. Poi è semi-scomparso. Ok, si è infortunato in modo grave, ma nel breve periodo in cui ha lottato da primus inter pares, da campione, non ha più ricevuto l’affetto che gli spettatori gli avevano riservato prima della vittoria e, soprattutto, quello donatogli mentre la sua parabola pareva contrastare la volontà degli sceneggiatori. Qual è la morale? Quella di prima: un conto è rincorrere, andare contro il celebre “sistema”, un altro è governare. Gli elettori sanno distinguere le due fasi.

Passiamo agli aspetti prettamente politici: l’esame dei flussi elettorali – siamo in possesso di un’analisi certosina ad opera di Swg – racconta di come il 14% delle persone che avevano  votato MoVimento alle passate elezioni politiche abbiano preferito, a questo giro, premiare la Lega di Matteo Salvini. In questo caso, a rilevare, sembra essere la natura indefinita dell’ideologia grillina: l’Italia è populista, ma da parte dei cinque stelle non c’è chiarezza sulle battaglie campali del nostro tempo. Qual è la linea dei pentastellati sull’Unione europea? Collaborazionista o no? Quali sono le posizioni in politica estera? Quelle atlantiste di Luigi Di Maio o quelle terzomondiste di Alessandro Di Battista?  E la bioetica? Di Maio parla di “Medioevo” rispetto alle istanze pro life, ma tra gli scranni parlamentari occupati dai pentastellati c’è una fronda cattolica che, seppur taciturna e passiva, andrebbe tenuta in considerazione in relazione a qualche sparuto consenso tradizionalista ottenuto anni fa.

Il MoVimento, pure sulla visione futura del Belpaese, è ondivago. E questo, in un’epoca così marcatamente polarizzata, non paga mai. Sempre sulla base dei dati di Swg, apprendiamo come il 4% degli ex elettori grillini abbiano abbracciato il “nuovo corso” di Nicola Zingaretti. Presumibilmente, sono quelli che sono tornati a casa perché di sinistra o di centrosinistra: coloro che non hanno digerito l’abbraccio, magari mortale, con il sovranismo di destra. C’è, in relazione alle statistiche sciorinate dall’istituto citato, quel 6% che ha “votato altri partiti, che andrebbe indagato. Magari si scopre che quei consensi sono finiti nelle “sacche di biada” della sinistra radicale. Poi c’è l’astensione, che ha riguardato tutti ma che, guardando alle politiche di breve respiro come il reddito di cittadinanza, non avrebbe dovuto colpire proprio il vicepremier e la sua compagine, specie nel Sud. Siamo dalle parti dell’irriconoscenza? No, quella misura è stata adottata, ma con declinazioni diverse rispetto agli annunci. Luigi Di Maio ha raccolto i frutti dell’illusione che è stata diffusa. Non raccontateci altro, per favore.

L’Ukip di Nigel Farage, una volta raggiunto l’obiettivo, si è liquefatta. Ora il leader britannico è di nuovo in auge, ma quasi solo perché lo scopo, cioè la Brexit, non è ancora stato raggiunto. Vale lo stesso per il MoVimento 5 Stelle: il fine era entrare nelle istituzioni, per rivoluzionarle da dentro. Beh, effettivamente oggi lo stato di salute di queste non pare ottimale, ma non è che ci risiedano gli alieni o gli umpa-lumpa: il presidente della Camera è grillino e pure la presidenza del Consiglio – dai, basta con questa storia che il professor Giuseppe Conte sarebbe bipartisan – è espressione della democrazia 2.0. Vedete, è come nel caso di Daniel Bryan: gli spettatori, che in questo caso sono gli utenti di Rousseau e le piazze dei Vaffa day, sono riusciti nel loro intento. E ora che si fa? È la comunicazione, signori. Tutto, oggi, viene costruito sul piano mediatico. L’entertainment, tuttavia, ha delle regole precise: un bravo performer deve saper stare sul ring prima e dopo l’affermazione. Se viene tifato solo quando parte dalle retrovie alla fine scompare. Lo chiamano storytelling, ma bisogna essere bravi a costruire una narrativa buona per ogni stagione. Daniel Bryan, che ci scuserà, è rinato perché è un fenomeno. I grillini lo sono molto meno. Una soluzione c’è: identificarsi chiaramente, tornare a sinistra e sposare, una volta per tutte, la causa della new left relativista, ecologista, pauperista e laicista. Sarebbe come tornare alle origini. Questo tamponerebbe la fuoriuscita di voti. Alessandro Di Battista si scalda a bordocampo. Solo una domanda: a Salvini chi glielo dice?