Perché IntesaSanpaolo e Unicredit dicono no ai Tremonti Bond

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Perché IntesaSanpaolo e Unicredit dicono no ai Tremonti Bond

07 Ottobre 2009

I colossi del credito nostrano dicono no ai Tremonti Bond. IntesaSanpaolo e Unicredit hanno scelto di non usufruire dei capitali messi a disposizione del Governo che avevano opzionato la scorsa primavera. Nel mese di febbraio infatti, il Ministro Tremonti aveva firmato un decreto che dava il via libera alla sottoscrizione, da parte del Tesoro, di obbligazioni emesse dalle banche italiane. Questo strumento era stato concepito per rafforzare la patrimonializzazione degli istituti e favorire la regolare erogazione del credito alle imprese e alle famiglie.

Eppure, nonostante Intesa e Unicredit debbano adeguarsi ai requisiti patrimoniali richiesti da Banca d’Italia in funzione del Trattato di Basilea II, hanno preferito seguire altre strade.

In un primo mometo Ca’ de Sas aveva intenzione di smobilitare alcune partecipazioni di grande valore per fare cassa, come quella in FIDEURAM attiva nella gestione del risparmio. L’ad Passera aveva proposto ai soci di cedere FIDEURAM alla finanziaria Exor con cui gli Agnelli controllano una galassia di società tra cui la FIAT. Torino, nonostante sia affamata di incentivi statali, sembrava molto interessata alla cessione, ma ha visto sfumare l’affare dal diniego del consiglio di sorveglianza di Intesa, dove per altro, siedono in qualità di azionisti, rappresentanti della stessa EXOR. Così il consiglio di gestione e di sorvelienza di Intesa hanno optato per l’emissione di obbligazioni ibride per 1,5 miliardi di euro che siano di impatto sul coefficiente di capitalizzazione Tier 1 della banca. Il parametro Tier 1 consiste in utili non distribuiti e riserve, al netto dell’avviamento, azioni ordinarie e di risparmio e infine, di Preferred Securities obbligazioni perpetue richiamabili non prima di 10 anni, il cui pagamento può essere sospeso in presenza di andamenti negativi della gestione e privilegiate solo rispetto alle azioni ordinarie e di risparmio. Il Tier 1 rapportato alle esposizioni della banca deve superare l’8%. Questo ratio, che nel mese di giugno si aggirava intorno al 6,9% otterrebbe particolari benefici dall’emissione promossa dai consigli di ieri.

Inoltre trattandosi di uno strumento ibrido, permetterebbe a Intesa di rispettare i vincoli della vigilanza e assicurare ai suoi azionisti la distribuzione dei prossimi dividendi che altrimenti potrebbero essere imputati a rafforzare il patrimononio dell’istituto.

I vertici di Intesa hanno reso noto inoltre che saranno dimesse attività non strategiche per il business dell’istituto.

Unicredit, al contrario, non può contare sulla smobilitazione di partecipazioni in portafolio. Ritendo strategico il pacchetto in Mediobanca e Generali, Piazza Cordusio intende procedere a un aumento di capitale. Profumo infatti, nelle scorse settimane ha sondato le Fondazioni Bancarie, principali azioniste insieme ai Libici e ha incassato la loro disponibilità. Pertanto il cda tenutosi lo scorso martedì, ha varato un aumento di capitale pari a 4 miliardi di euro. Il Board, ha inoltre approvato un aumento di capitale di circa due miliardi per la controllata Bank Autstria. Che, a causa dei prodotti tossici in portafolio e l’esagerata erogazione di credito al consumo nei paesi dell’est, lo scorso hanno aveva fatto vacillare il gigante europeo creato da Profumo.

Unicredit inoltre, la scorsa settimana ha annunciato due operazioni sul proprio patrimonio immobiliare per circa 1,1 miliardi di euro. L’istituto prevede di conferire 13 immobili di pregio a un fondo immobiliare gestito da Ream Sgr, di cui è socia anche la Fondazione CRT di Torino che ha in portafolio il 3,6% di Piazza Cordusio e intende cedere le proprie quote del fondo Omicron Plus, gestito da Fimit Sgr a GIC Real Estate.

Seppure entrambi i colossi del credito abbiano elaborato strategie differenti, appare chiaro il rifiuto per i Tremonti Bond. Intesa e Unicredit nei rispettivi comunicati stampa hanno lasciato intendere che il sostegno governativo sarebbe stato troppo esoso rispetto ai corsi di mercato. Ovvero che l’8% di interesse sui bond sottoscritti dal Tesoro sarebbe superiore alla media.

In termini assoluti tale affermazione può risultare vera. Ma analizzando attentamente la struttura del Tremonti Bond e la sua imputazione a capitale di vigilanza, quindi ad equity, si intuisce che il tasso dell’8% come interesse su capitale di rischio non è così elevato.

Sembrerebbe quindi che l’astensione dagli aiuti offerti dal governo, sia da ricercare altrove. Innanzitutto gli azionisti sono interessati ad incassare i dividendi. E in base al protocollo da firmare con il Tesoro per l’emissione dei bond, gli utili devono essere destinati prima di tutto a rimborsare il tasso dell’8% annuo. E del rimanente, parte può essere distribuita e parte deve essere imputata a riserva. Nel caso di Unicredit, le stesse fondazioni che già un anno fa hanno sottoscritto gli strumenti ibridi emessi dalla banca, preferiscono con l’aumento di capitale rafforzare le proprie quote e potere incassare dividendi la prossima primavera.

E lo stesso management delle banche gradisce poco le condizioni del Tesoro. Quest’ultimo infatti potrebbe richiedere agli istituti il contributo finanziario per rafforzare la dotazione del fondo di garanzia per le pmi, per i lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidio di disoccupazione, la sospensione del pagamento della rata di mutuo per almeno 12 mesi e la promozione di accordi per anticipare le risorse necessarie alle imprese per il pagamento della cassa integrazione.

Senza contare il possibile intervento dei prefetti per la monitorare la regolare attività della banca e la loro potenziale intrusione sui dossier molto caldi che in questo periodo agitano i sonni di alcuni banchieri.