Perché la Campania ha smascherato De Luca e premiato Caldoro
31 Marzo 2010
di Enzo Sara
Masaniello non abita qui. La Campania ha smascherato clamorosamente il bluff De Luca e premiato la politica sobria, i toni soft, la linea del rinnovamento dolce, l’aplomb "quasi oxfordiano" (tanto per prendere a prestito una definizione particolarmente felice e azzeccata) di Stefano Caldoro.
Sì, le cose cambiano in questa Italia del 2010. E in sede di bilancio non si può fare a meno di notare come anche dal Sud si siano levate voci forti e chiare, in una tornata elettorale amministrativa che non a torto viene archiviata come quella dell’exploit leghista. Con il trionfo di Caldoro e la schiacciante affermazione di Scopellitti il centrodestra espugna due regioni-chiave del Mezzogiorno d’Italia, confermandosi vivo e in buona salute lungo tutto l’arco della Penisola.
Di particolare rilievo e significato il responso delle urne in Campania, dove l’elettorato mette definitivamente in soffitta il bassolinismo ed i suoi epigoni in maschera. Appaiono perfino sorprendenti le dimensioni del successo di Caldoro, che ottiene più del 54% dei consensi, mentre il suo pur aggressivo e carismatico antagonista si ferma al 43%: una "forbice" larghissima che pochi pronosticavano alla vigilia e che comunque non trovava riscontro nelle previsioni dei sondaggisti. Certo, non si può dire che fossero mancati gli avvisi di sfratto a Bassolino, al suo partito e alla sua coalizione. Segnali inequivocabili erano giunti già dal voto in parecchi comuni e, soprattutto, dalle elezioni provinciali di un anno fa, quando il Pdl – alleato con l’Udc – aveva conquistato presidenze e parlamentini a Napoli, Salerno e Avellino. Il quadro si arricchisce ora con la vittoria di Zinzi (sempre in rappresentanza di Udc e Pdl), che s’impone a Caserta con oltre il 64% dei suffragi e sottrae un’altra Provincia al centrosinistra, che aveva vinto le elezioni del 2005 senza però completare il mandato, chiuso con la lunga appendice di una gestione commissariale.
Ma, ovviamente, il verdetto più eloquente e perentorio è rappresentato dalla svolta epocale alla Regione, dove finalmente si volta pagina. Eppure il centrosinistra si era ingegnato a preparare un tranello apparentemente abile, affidandosi alla fama di buon amministratore e alle qualità istrioniche del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, per provare a confondere le acque e a ribaltare il pronostico dettato da logica e buon senso.
De Luca, con la sua aria da simpatico guappo e incontenibile guascone, si è presentato ai cittadini campani con uno slogan a dir poco audace: "Cambiare tutto". Ma la gente lo ha preso per ciò che era in realtà: uno sconcertante esempio di gattopardismo al ragù. Si trattava semplicemente dello spregiudicato tentativo di riproporre il vecchio trucco comunista del partito di lotta e di governo, di presentarsi come innovatore radicale pur essendo espressione dello stesso schieramento (fatta eccezione per un piccolo segmento di sinistra radicale) e addirittura dello stesso partito che avevano generato il malgoverno rispetto al quale si promettevano alternative a dir poco improbabili e inverosimili. Come in uno spaghetti western di serie B, insomma, con un mediocre colpo di scena lo "sceriffo" De Luca si era messo a capo della banda di quelli che – secondo le sue stesse parole – erano stati per oltre dieci anni i "cattivi". Ma Napoli e la Campania sono la patria di un vecchio detto: "Ccà nisciuno è fesso". E così il gioco delle tre carte non è riuscito. Ed è stata rispedita al mittente la riedizione di quel "facite ammuina" reso celebre dall’editto di Franceschiello per la Real Marina.
Caldoro ha vinto senza bisogno di gridare, senza promettere miracoli e palingenesi, senza mai alzare il livello dello scontro, senza nemmeno insistere più di tanto sulla vergogna-rifiuti interamente imputabile al centrosinistra e al governatore uscente. Un basso profilo che poteva perfino apparire rischioso e che invece, alla prova dei fatti, ha pagato. Ora comincia la sfida più difficile: meritare il successo, mostrare nei fatti la capacità di garantire una netta e autentica discontinuità, riuscire nel compito di "fare squadra" con l’Udc. Se questi obiettivi saranno centrati, si potrà pensare concretamente ad aggiungere l’ultimo tassello al totale e profondo rinnovamento della Campania: la sfida per il Comune di Napoli. C’è un anno di tempo, di lavoro e di speranza.