Perché la giustizia così tanto per le intercettazioni?

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Perché la giustizia così tanto per le intercettazioni?

11 Giugno 2008

 

L’Italia sembra sia la nazione in Europa in cui prevalga il malaffare. Dagli altri paesi europei, Germania ed Inghilterra avanti a tutte, puntualmente ogni anno il Bel Paese viene descritto come una terra dove regna l’illegalità ed in cui cosche mafiose, scippatori, rapinatori, truffatori e imbroglioni sguazzano senza controllo.

Siamo ogni anno a difenderci da vere e proprie campagne di diffamante disinformazione, soprattutto per salvaguardare l’afflusso turistico verso le nostre città, che rappresentano un patrimonio unico al mondo di arte e di cultura, e che è fonte importante per la nostra economia.

L’Italia è anche il Paese più volte condannato dalla Corte europea per la lentezza dei processi civili e penali. Nel nostro Paese sono state focalizzate carenze, nella formazione dei giudizi, che finiscono col privilegiare il crimine e carenze che, invece, privano i cittadini dei loro diritti alla giustizia o che ne compromettono salute ed interessi economici.

Si sono verificate situazioni in cui persone innocenti sono state dimenticate nelle carceri, altre privati della libertà sulla base di testimonianze di pregiudicati pentiti, gestiti da magistrati quanto meno poco scrupolosi. Ci sono persino stati nel passato cittadini arrestati e mantenuti in detenzione in attesa di essere interrogati da taluni magistrati che, senza curarsi della condizione di uomini privati della libertà, hanno preferito andarsene in ferie anziché interrogare l’imputato. E’ accaduto così che una persona potesse essere gestita come una pratica da esaminare al rientro dalle vacanze, e che per alcuni magistrati il diritto alle ferie potesse essere una prerogativa inalienabile attribuita in esclusiva.

In Italia tra comitati di affari, logge deviate, cupole e quant’altro funzionale ad allungare le mani sul pubblico denaro, sottratto oltre ogni misura attraverso la leva fiscale ai cittadini inermi, abbiamo un primato invidiabile, tale da poter competere con le agguerrite dittature latino-americane.

Un best seller dello scorso anno in  Italia è stato il libro “La casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella in cui vengono descritti gli sprechi, gli interessi, gli abusi, i privilegi e le ingiustizie nel Paese. Ed ora pare che la giustizia sia legata esclusivamente alla curiosità di magistrati e funzionari di polizia nell’ascoltare l’effluvio di parole che in Italia si diffonde attraverso le linee telefoniche. Un Paese dove il malcostume nasce dalle istituzioni, dagli ordinamenti, dai servizi e dalla classe politica, ed in cui s’avverte la complicità silente ed interessata di cittadini, conniventi e tronfi della loro arroganza, nell’esercizio di una piccola fetta di potere a loro riservata.

Il nostro è il Paese dei sospetti e delle insinuazioni. Ogni cittadino che in un periodo anche remoto della propria esistenza sia stato in contatto con uno o più persone che in seguito, anche a distanza di decenni, sia stato coinvolto in gestioni di malaffare può essere tranquillamente, e senza possibilità di difendersi, indicato come amico, connivente e socio di mafiosi.

Accade anche che la televisione del servizio pubblico, volentieri e con grande indifferenza, si sostituisca alle aule di tribunale per celebrare processi. Capita che a volte sia presente una sola parte, e quando anche lo sia la controparte, essa è rappresentata in modo del tutto sbilanciato. Col conduttore che ammicca al “pubblico ministero”, che arringa, toglie la parola e conduce verso un’unica direzione, che la fa insomma da padrone e si compiace dell’impresa. Le trasmissioni dei tribunali mediatici si esauriscono così senza una sentenza, ma lasciando alla giuria popolare, gli telespettatori, l’erogazione di un giudizio che appare scontato.

Sui giornali nel frattempo si leggono le frasi lascive di personaggi più o meno noti, i commenti peccaminosi, le pruderie di un’Italia per molti versi marcatamente provinciale. Si leggono confidenze di uomini in vista, persino minacce profuse o fantasiosi progetti politici, manie di grandezza, megalomanie di ogni tipo, segnalazioni, raccomandazioni, pettegolezzi ed opinioni su uomini e cose. Le intercettazioni vengono fornite come eventi eccezionali e con gran dovizia di particolari, a volte estrapolati più da fertili fantasie che da fatti reali o propositi realizzabili. Eccezionali, però, gli eventi lo sono perché quelle chiacchierate intercettate non dovrebbero essere riportate sui giornali ma, se giuridicamente rilevanti, negli atti processuali e, se invece privi di consistenza processuale, cancellati e distrutti.

Ma anche espressioni di rilevanza giuridica andrebbero analizzate nel contesto e non prese nella loro parzialità. Come, ad esempio, se non capitasse tutti i giorni di sentir dire a qualcuno frasi sconclusionate e senza senso in un contesto di scherzo, di irritazione, di pettegolezzo. Quanti reati di omicidi e di lesioni personali in più ci sarebbero se tutte le volte che si sente dire a qualcuno “a quello lo ammazzo” ovvero “gli spezzo le gambe” o ancora “gli stronco la carriera”, “lo mando in rovina” ed altro ancora?

Poi ci si chiede come mai in Italia ci sia tanto malaffare! Se si perde tempo e risorse per correr dietro ai pettegolezzi o agli improbabili teoremi giuridici!

Se in Italia la giustizia impiega un terzo delle sue risorse per le intercettazioni, da queste dovrebbero provenire validi sostegni nel rendere giustizia. I benpensanti oserebbero persino sperare che servano a sconfiggere definitivamente il tormentone, che viene propinato all’estero, dell’Italia insicura e pericolosa.  

E se in Italia tutti i soggetti a rischio sembra che siano sottoposti ad intercettazioni telefoniche (centomila soggetti posti sotto controllo non sono poca cosa), come mai dei presunti corrotti e malversatori in carcere non finisce mai nessuno?

E se quello delle intercettazioni fosse un perverso giocattolo nelle mani di magistrati annoiati?

E se le intercettazioni servissero a ritagliarsi uno spazio in quella casta in cui il potere si misura nella pratica dell’interdizione e del ricatto?