Perché la ritirata di Air France non è un male per Alitalia
22 Aprile 2008
La Air France lascia dopo aver contribuito, anche come
azionista, al depauperamento di valore dell’Alitalia e dopo aver trascinato per
mesi una trattativa in cui in realtà non voleva trattare niente, ma solo
imporre la propria volontà.
Lascia in un momento difficile, quanto mai prima,
per la compagnia italiana e mentre tutto il trasporto aereo nel mondo è diviso
tra due tendenze divergenti: da una parte l’aumento della domanda di viaggi,
dall’altra il micidiale rincaro del prezzo dei carburanti dovuti ai continui
rialzi del petrolio.
Inutile attardarsi sulla nostalgia per i francesi. Non
offrivano un salvataggio, ma un acquisto a prezzi da strozzini e il progressivo
smantellamento delle strutture operative di Alitalia (non solo riguardo al volo
ma anche alla manutenzione degli aerei, per cui, in qualche anno, l’Italia
avrebbe subito anche una pesante perdita di capacità tecniche).
Ora le possibilità sono due. Il famoso prestito ponte,
possibile a condizioni di mercato (determinate quindi dal tasso di interesse,
dalle garanzie e dall’assetto societario del prestatore, che potrebbe anche
essere una finanziaria pubblica e non necessariamente il Tesoro) oppure
l’amministrazione controllata. Nel primo caso di otterrebbe l’allungamento del
tempo di operatività dell’Alitalia e il mantenimento della licenza
internazionale a condizioni immutate. Ma si dovrebbe porre mano, finalmente
liberi dal cappio Air France, a una velocissima selezione del giusto
acquirente. Qualcosa si sta muovendo tra Lufthansa e Aeroflot, entrambe
potenzialmente interessate a mettere un piede in Italia (mercato ricchissimo
grazie a 24 milioni di passeggeri annui) e a mantenere in funzione Malpensa,
quindi graditi alla nuova maggioranza.
L’altro esito, cioé l’amministrazione controllata, non deve comunque
spaventare eccessivamente. La legge Marzano consente di mandare avanti le
aziende ed è stata inventata proprio per evitare traumi. Certo, c’è da
scommettere che con l’amministrazione controllata tornerebbero a essere
avanzate le proposte rapaci della Air France. La porta sbattuta potrebbe sempre
essere riaperta dai francesi per partecipare a una spartizione per singole
parti dell’Alitalia, come potrebbe se l’amministrazione controllata portasse
comunque verso una cessione dell’attività della compagnia il più presto
possibile.
In ciascuno dei due esiti, insomma, tocca all’imprenditoria
italiana e per prime alle banche farsi avanti per evitare che la coda finale di
questa vicenda abbia tristi conseguenze. Non è affatto impossibile.
Come si è
scritto già, anche la Fiat stava messa molto male quando le banche intervennero
con il prestito convertendo, cioé con un finanziamento convertibile in azioni.
A distanza di qualche anno quel prestito si è dimostrato uno dei migliori
investimenti possibili per le banche italiane.
Potrebbero recuperare quello
spirito anche con Alitalia. E sarebbe anche bene che non si facessero
impressionare da voci e da campagne giornalistiche negative sulla compagnia
italiana. Certamente perde molti soldi nell’attuale situazione gestionale. Ma
non è una tendenza inarrestabile. Mentre la produttività del lavoro,
specialmente quella dei piloti, è anche superiore, facendo le giuste
comparazioni, a quella che si registra nelle altre compagnie. In passato,
mentre Air France teneva suoi rappresentanti nel cda di Alitalia, si è scelto
di ridurre i voli a lungo raggio per privilegiare il medio raggio (sempre con
decisioni avallate dai consigli di amministrazione in cui sedevano uomini di
Air France a Roma e l’italiano Francesco Mengozzi a Parigi). Quello dei low
cost è il segmento più aggredito dalla concorrenza delle compagnie low cost, ma
è anche causa di distorsioni nelle statistiche sulla produttività del lavoro
nell’azienda. Perché i piloti Alitalia, concentrati su voli a medio e corso raggio,
inevitabilmente fanno meno ore di lavoro a parità di tratte effettuate. E
quindi nelle rilevazioni si ha l’impressione di una casta di fannulloni.
Un’osservazione appena più attenta verifica che non è così.
L’altro valore da difendere e che non è stato difeso in
passato è quello degli slot, i diritti di decollo e di atterraggio. L’accordo
con i francesi, anticipato nel piano di Maurizio Prato, prevedeva l’abbandono
di quelli su Malpensa, lasciandoli però congelati, non utilizzabili da nessuno.
Una pretesa assurda. Che ora, con Alitalia o senza, verrà rimessa in
discussione.