Perché la sanatoria degli immigrati in agricoltura è un errore sociale ed economico

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Perché la sanatoria degli immigrati in agricoltura è un errore sociale ed economico

Perché la sanatoria degli immigrati in agricoltura è un errore sociale ed economico

03 Maggio 2020

Con la scusa di far proseguire il lavoro nei campi il governo si propone di regolarizzare seicentomila immigrati irregolari. Questa idea non è solamente pericolosa come insegnano i (numerosi) precedenti, ma è addirittura dannosa per il nostro sistema economico e, cosa ancora più grave, per decine di migliaia di lavoratori proprio del settore dell’agricoltura. Cominciamo dalla motivazione più semplice, quella già utilizzata nelle Aule del Parlamento: questa regolarizzazione – che nasconde ovviamente il consueto desiderio della sinistra di arruolare nuovi elettori – rischia di consegnare la cittadinanza italiana e dunque la possibilità di rimanere per sempre nel nostro Paese a falangi di criminali travestiti da “semplici” immigrati. E’ già accaduto: le organizzazioni criminali hanno il danaro, i rapporti e la ramificazione sufficiente a “travestire” da semplici braccianti gli uomini e le donne che usano come manovalanza. Come è possibile distinguere un vero bracciante da un sanguinoso capetto della mafia nigeriana? Ecco perché gli effetti sull’ordine pubblico potrebbero essere devastanti. La seconda ragione per cui la proposta della ministra Teresa Bellanova, immediatamente fatta sua dal Movimento 5 Stelle, è da respingere riguarda invece gli effetti economici. Per affrontare i problemi dell’agricoltura, infatti, non serve un esercito di schiavi – qualunque sia il colore della loro pelle -, ma è necessario alzare la qualità e migliorare le condizioni del lavoro nei campi per renderlo appetibile alle migliaia di disoccupati che sono già in Italia.

Perché i campi oggi sono fermi e in condizioni normali lavorano nella raccolta perlopiù gli stranieri? Perché nessun disoccupato italiano, potendo scegliere tra il reddito di cittadinanza restando a casa e tre euro l’ora a sudare nei campi, sceglierebbe mai la seconda opzione. Chi può se lo evita e, costringendo gli agricoltori a ricorrere alla manovalanza in nero, crea una guerra tra poveri, un triste dumping a chi accetta di spaccarsi la schiena per la cifra più bassa. Il governo ha dunque la possibilità di approfittare di questa crisi e delle nuove possibilità economiche dettate dall’emergenza per intervenire nella filiera e migliorare, attraverso un sistema di incentivi, sgravi e di prezzi regolati, la qualità dell’offerta di lavoro, aiutando i disoccupati che già sono in Italia ad avvicinarsi al lavoro in agricoltura. Bisogna che gli imprenditori agricoli possano avere margini superiori e, soprattutto, che la paga oraria di chi si avvicina a questo lavoro sia molto più alta, che garantisca a chi lavora in agricoltura di vivere dignitosamente. Non è così difficile come sembra, nè strano. Sappiamo bene che l’agroalimentare è uno dei settori trainanti dell’economia italiana, che, certamente, a differenza di altri, avrà un grande futuro specie per l’export. E’ una occasione storica; speriamo che questo governo non la sprechi e sacrifichi il benessere di migliaia di lavoratori sull’altare dei voti facili, del buonismo fine a sé stesso che alimenterebbe ulteriormente la sfiducia nei confronti delle istituzioni.