Perché l’Europa non doveva invitare Mugabe

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Perché l’Europa non doveva invitare Mugabe

10 Dicembre 2007

Per decidere chi aveva ragione e chi torto – se cioè è stato davvero
inopportuno invitare Robert Gabriel Mugabe, presidente dello Zimbabwe, al
vertice euro-africano svoltosi a Lisbona l’8 e il 9 dicembre – bisogna conoscere i
fatti. 

Il
motivo per cui non avrebbe neanche dovuto mettere piede sul suolo portoghese è
che il Parlamento europeo con una serie di risoluzioni, a partire dal 2002, ha
disposto delle sanzioni contro il leader africano e contro il suo governo che
includono il divieto per lui e per altre 129 personalità zimbabwane di
soggiornare nei paesi membri dell’Unione Europea, divieto che si estende ai
loro familiari ai quali è interdetto l’accesso a posti di lavoro e a istituti
scolastici entro il territorio comunitario. In una risoluzione del febbraio
2003, il rinnovo e l’inasprimento dei provvedimenti sanzionatori erano tra
l’altro motivati dalla considerazione che “7,2 milioni di abitanti, più della
metà della popolazione dello Zimbabwe, stanno per morire di fame e che a quanti
non sono in grado di presentare la tessera di appartenenza alla ZANU-PF (il
partito al potere, n.d.a.) vengono negati i generi alimentari controllati dal
governo”.
 
Ciò che si contesta a Mugabe è di aver distrutto il tessuto economico del suo
paese mandando in bancarotta l’ex colonia britannica un tempo fiorente grazie
ai suoi prodotti minerari e alle sue piantagioni. Primo e unico presidente
dell’ex Rhodesia del Sud, Mugabe, di etnia Shona, si è impadronito del potere
nel 1980, anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, sconfiggendo gli
avversari di etnia Ndebele, uccisi a decine di migliaia dalle milizie al suo
comando. Il declino economico iniziato negli anni 80 e accentuatosi nel
decennio successivo, si è trasformato in tracollo nel 2000, quando Mugabe ha
ordinato l’esproprio di migliaia di imprese agricole industriali, quasi tutte
di proprietà dei discendenti dei coloni britannici che popolarono la colonia
nel secolo scorso.
 
Da allora una parte delle terre confiscate è incolta; il resto è stato
distribuito a decine di migliaia di ex braccianti agricoli che, non disponendo
di attrezzi, sementi, fertilizzanti e non potendoseli procurare, neanche
riescono a ricavarne di che sopravvivere. Dei circa 13 milioni di abitanti, tre
milioni sono emigrati – un vero e proprio esodo tuttora in atto verso lo Zambia
e il Sud Africa – e quattro milioni al momento dipendono quasi interamente
dagli aiuti alimentari e sanitari internazionali. Mugabe in sostanza ha
provocato una crisi umanitaria di proporzioni enormi, ormai la peggiore del continente
africano: dall’indipendenza a oggi la speranza di vita alla nascita in Zimbabwe
è scesa da 65 a 37, forse 34 anni e la mortalità infantile è aumentata del 60%
. Si calcola un’inflazione del 13.000 per mille, un tasso di disoccupazione tra
l’80 e il 90% e un altrettanto elevato tasso di povertà.

Corruzione, malgoverno e violazione dei principi democratici hanno mantenuto
finora in carica Mugabe che, all’età di 83 anni, mostra di voler continuare a
reprimere e a manipolare costituzione e risultati elettorali pur di restarvi
fino alla morte. Per questo il premier britannico Gordon Brown ha mantenuto la
promessa di non recarsi a Lisbona se vi fosse stato invitato il leader
zimbabwano e per questo il cancelliere tedesco Angela Merkel, messa da parte la
diplomazia, ha accusato senza mezze misure Mugabe di sporcare l’immagine
dell’Africa con il suo comportamento auspicando che il suo giudizio fosse
condiviso da tutti i membri dell’Unione Europea.