Perché Monti tace sulle barbarie anti-cristiane di Boko Haram in Nigeria?

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Perché Monti tace sulle barbarie anti-cristiane di Boko Haram in Nigeria?

23 Giugno 2012

È un costume del tutto italiano. Organismi vuoti, senza rappresentanza ma annunciati con la più grande fanfara. Nulla di strano, fin qui. Enti, società, gruppi di lavoro, tavoli interculturali: belli senz’anima mi è sempre piaciuto definirli. Ma quando entra in campo la questione della libertà e della dignità, dell’uomo e della donna, tutto cambia. Non si può non riflettere sulla creazione di un organismo che nasce come consultivo ma che consultivo nella realtà non è. E che non parla quando la storia chiama il suo intervento.

La Consulta delle Religioni istituita dal Ministro Riccardi accantonando di fatto quella dell’Islam di Pisanu e Amato, che già alla sua nascita creò dei malumori perché al suo interno militano esponenti dell’Islam radicale e da essa sono stati esclusi moderati e donne, ha perso l’ennesima occasione per dire all’Italia e alla comunità musulmana presente nel nostro Paese, che i timori non erano fondati. Circostanza, questa, che fa ben pensare a chi ne denunciò il carattere estremista, di aver avuto ragione. In Nigeria il sangue dei cristiani e dei musulmani moderati scorre senza pietà. Boko Haram, un gruppetto di non più di un centinaio di esaltati estremisti radicati nelle frange oscure di Al Qaeda, sta mietendo vittime come se fossero erba. In nome della sharia’a, del fondamentalismo estremo, della guerra etnico-religiosa.

Non possiamo non notare, come facemmo già alcuni mesi fa prima dell’esplosione salafita di Boko Haram, che a questo si aggiunge la caratteristica nota delle guerre africane, ovvero l’essere particolarmente cruente, fatte di sgozzamenti, decapitazioni, arti mozzati e stupri di massa. Un bagno di sangue a cielo aperto, che prende di mira in particolare i cristiani. Nel silenzio, ovviamente, della Comunità Internazionale. Ma lì ci sono risorse sopra e sotto la terra che fanno gola a molti, fondamentalisti salafiti compresi, la cui provenienza non certo ci sfugge. Dall’Italia quale condanna arriva? Tante parole di contorno, nelle quali spesso si scorge solo qualunquismo e generica vicinanza per fini propagandistici. Ci attendevamo però, come ovvio, una parola forte e a voce unica della Consulta Islamica presso la Conferenza delle Religioni, ma finora nulla. Un silenzio assurdo, per quanto ampiamente prevedibile.

Non aveva dunque torto chi dubitava fortemente della natura di questa consulta e dei suoi componenti di parte musulmana. Che non firmarono la Carta dei Valori di Amato e che non decisero mai di costruire una prospettiva di Islam positivo e al passo con i tempi. Perché chi dovrebbe essere lo specchio della salute delle religioni in Italia non denuncia il salafismo devastante che sta conquistando la Nigeria e che a breve infetterà tutta l’Africa? Perché il Ministro Riccardi non spinge affinchè la Consulta parli ad una sola voce ed esprima con chiarezza il suo sdegno verso questi massacri? Cosa tiene alla larga dalla denuncia formale e chiara del salafismo, chi dovrebbe impersonare l’antidoto contro la radicalizzazione dei costumi? La sola cosa chiara, negli interrogativi di cui sopra, è che tutto converge verso un silenzio quanto mai emblematico.

Emblematico perché chi deve parlare si guarda bene dal farlo per paura di incorrere in pericolose deviazioni verso la moderazione. Perché chi dovrebbe incarnare il sano delle religioni oggi guarda a quei fatti con pericolosa ambiguità. E l’ambiguità, mi piace ripeterlo, quando si parla di fatti del genere, non è ammessa. Cosa che i moderati presenti nella Consulta di Pisanu e Amato sapevano bene, schierandosi a viso aperto e senza ambiguità contro il salafismo e l’estremismo. Rischiando, molto spesso, di proprio. Cosa ne è della Consulta delle Religioni? Non è dato sapere, al di là delle vuote riunioni che ne caratterizzano gli sporadici incontri.

Ma di concreto nulla, mentre in Nigeria, come in Egitto e Tunisia, si continua a morire per mano di quel fondamentalismo che qualcuno ha paura di condannare. Mi piace sempre ricordare, in tempo di crisi dell’euro e di rischio crollo delle istituzioni europee, che i tecnici sono giunti fra di noi da un pianeta buono per salvare l’Italia e il mondo dalla caduta. E magari per non ripetere le stesse cattive abitudini del passato, laddove si costruivano scatole vuote, belle all’esterno ma desolatamente buie all’interno. Ma il richiamo alle radici, si sa, è troppo forte e nessuno, compreso chi il tecnico lo fa per arrivare alla politica vera, ne è esente. Nemmeno quando ne fanno le spese donne e intellettuali, giovani e futuro di tutti.