Perché nel centrodestra non esiste un vero successore di Berlusconi
21 Ottobre 2012
Il rinnovamento è una esigenza fisiologica nel Pdl, giunto al suo termine per consunzione dello stato maggiore. Anziano politicamente e anagraficamente. La domanda centrale però è: possono coloro che hanno gestito la linea politica che ha condotto il Paese lì dove oggi si trova gestire il rinnovamento?
Matteo Renzi, nel Pd, risponde di no e chiede di rottamare la classe dirigente che ha il simbolo in Massimo D’Alema. Nel Pdl ai comandi della pressa si candida la Santanchè, nonostante non possegga uguale prestigio e credibilità. E così tutti scoprono che nel centrodestra il successore di Berlusconi non c’è e, quel che è peggio, nessuno si fa avanti a rivendicarne il ruolo. E non più per timore della reazione dell’ex presidente del Consiglio. Questi dal canto suo si comporta ormai (perché si sente) il padre nobile del centrodestra.
I bene informati aggiungono che abbia in animo di promuovere una sua lista elettorale (più di un nuovo partito) nella quale candidare persone dai curricula professionale elevato e etico specchiato e di lasciare ad Alfano il Pdl condannato dai sondaggi e screditato dai comportamenti della sua classe dirigente (che Silvio Berlusconi ha affiliato ma mai adottato). Questa prospettiva solo all’apparenza aumenta le possibilità di separazione degli eredi di Almirante dagli ex forzisti, tanto più che il loro non compianto ex leader maximo, Gianfranco Fini, si trova schiacciato tra gli affetti familiari e l’onore politico.
Fabrizio Cicchitto, Renato Brunetta, Maurizio Lupi &Co. (Giulio Tremonti si è ormai emancipato?) forse non si amano più ma Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa e Gianni Alemanno (Francesco Storace ormai è un’altra cosa!) non si sono mai amati. Hanno soltanto convissuto all’ombra di una nostalgia seppellita nella cantina di una casa di Montecarlo appartenente al partito che di quella nostalgia era il frutto. E che qualcuno ha ceduto ancora non si sa a chi.
Eppure Silvio Berlusconi mostra di crederci ancora, sebbene il suo obiettivo sia di secondo livello: non la leadership del Paese ma il condizionamento della maggioranza politica che uscirà vincitrice la prossima primavera. Per questo sponsorizza liste civiche e politiche fiancheggiatrici della sua futura lista elettorale e non cessa di martellare Pierferdinando Casini, ancorché sappia che il capo dell’Udc ha una principale e una subordinata che poggiano sulla medesima condizione preliminare: la sua esclusione dalla politica che conta.
Ma anche l‘Udc ha dei problemi. Molti dei suoi esponenti brillano di vetustà ma tolti loro c’è il vuoto. L’esito dell’alleanza con il Pd in Sicilia dirà qualcosa ma dall’esito se ne trarrà spunto per qualche correzione tattica non di strategia. Casini sa di dare le carte.
L’humus politico sembra però adatto a uno sconquasso politico che la modifica della legge elettorale potrà contenere ma non evitare. Troppe e troppo diffuse le cadute etiche della classe politica, nei cui confronti le piazze mediatica e reale non fanno più distinzione. E se il Pdl è stordito dalle saette lanciate contro la sua dirigenza locale, il Pd fa i conti con il dissolvimento della sua diversità etica presso gli elettori.
In questo contesto non sorprende che Beppe Grillo e il suo movimento non facciano più campagna elettorale: non ne hanno bisogno. Aspettano gli ulteriori tentativi di harakiri del centrodestra e del centrosinistra. Due coalizioni orfane di un leader riconosciuto e rispettato e soprattutto di un programma che diffonda speranza per il futuro dopo mesi nel corso dei quali i cittadini sono stati lasciati soli a vivere il peggio del presente.