Perché non possiamo non dirci Occidentali

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Perché non possiamo non dirci Occidentali

11 Luglio 2012

Tempo fa ero in un locale al Pigneto, il centro dello sfascio capitolino (Alemanno c’è),  a bere un prosecco da quattro soldi con una manica di giovani sedicenti "comunikatori" squattrinati (avete presente il tipo dell’aristo-freak? Pessimo). Uno di questi boccalone a un certo punto si gira e mi fa, e tu che fai nella vita? Scrivo, rispondo senza aggiungere altro. Dove? insiste lui. Su l’Occidentale, dico incautamente. E quello, a metà tra lo stupito e lo sdegnato: ma è un giornale di destra?

Fine della premessa: viviamo in un epoca in cui tanta è stata la propaganda autodistruttiva contro la nostra civiltà da considerare la parola Occidente di destra. Non come un valore meta-politico, che va oltre le ideologie e racconta una storia dell’umanità fatta di successi e sconfitte (e che successi, che sconfitte!), ma come l’incarnazione brutta sporca e cattiva di George W. Bush e dell’impero americano (ma de che…).

E’ quindi il momento di ridare significato a parole che hanno perso il loro valore. L’Occidente non è solo quello che ci hanno raccontato per anni gli Studi Culturali e il Postcolonialismo, una specie di ladrone travestito da Capitalista che, dove non arriva con lo sfruttamento economico, passa alle armi di distruzione di massa (casomai è il contrario, il mondo è ancora pieno di dittatori e tiranni sanguinari). Al contrario, l’Occidente è Progresso, Libertà, Diritto, tutte parole che non troverete mai nel vocabolario declinista dell’antipolitica.

Chi non ha i meloni sugli occhi e ci governa, farebbe bene a operare alla svelta questa "ricarica di senso", anzi di buonsenso: quando andavamo a scuola venivano chiamati "i fondamentali" e se non li conoscevi eri davvero out. I giovani occidentali di oggi, che qualcuno descrive come il peggior periodo generazionale mai esistito, hanno sulle loro spalle un compito gigantesco: non sprecare il lessico dei loro Padri e tramandarlo integro e ricostituito ai loro figli.

"Abbiamo combattuto per ciò che era giusto," dice Will McAvoy nella prima puntata di The Newsroom. "Abbiamo combattuto per ragioni morali. Abbiamo approvato leggi, abbiamo colpito altre leggi per ragioni morali. Abbiamo dichiarato guerra alla povertà, non ai poveri. Abbiamo fatto sacrifici. Ci preoccupavamo dei nostri vicini. Abbiamo speso per ciò in cui credevamo, e non ci siamo mai arresi. Abbiamo costruito tante grandi cose, abbiamo creato cose dannatamente tecnologiche, esplorato l’universo, curato le malattie, e abbiamo fatto crescere i migliori artisti del mondo e la migliore economia mondiale".

Scusate se non è Shakespeare, ma certe volte basta una serie televisiva per capire da dove veniamo e qual è la posta in gioco. "Volevamo arrivare alle stelle, comportandoci da uomini. Aspiravamo all’intelligenza, non cercavamo di sminuirla. Non ci faceva sentire inferiori. Non venivamo identificati per chi avremmo votato alle prossime elezioni e noi… noi non ci spaventavamo così facilmente. Potevamo essere tutte queste cose e fare tutte queste cose perché eravamo informati. Da grandi uomini, uomini che erano rispettati. Il primo passo per risolvere qualsiasi problema è riconoscere che ce n’è uno". 

Il problema è questo: viviamo in un tempo nel quale i fondamentali vengono messi alla porta, le cattive idee premiate e le buone pratiche dimenticate, un tempo vuoto di parole che la politica non è più capace di riempire, persa dietro le sue logiche condominiali, arroccata su se stessa mentre intorno Roma brucia. C’è una parola che può fare da sintesi a questa situazione senza vie d’uscita e rivelarsi un antidoto potentissimo in grado di capovolgerla, segnando il passaggio a giorni migliori. Una parola che i giovani occidentali dovrebbero cogliere al volo quando gli viene offerta. "Opportunità".

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