Perchè quando Fini parla di centralità del Parlamento non convince più

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Perchè quando Fini parla di centralità del Parlamento non convince più

19 Maggio 2010

La polemica sollevata dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, sull’inattività a cui il governo costringerebbe il Parlamento a causa della mancata copertura delle proposte di legge avanzate dalle Camere, sarebbe bizzarra anche in un momento normale, vista la vigenza dell’articolo 81 della Costituzione. Ma in una fase in cui tutti i paesi europei si trovano esposti ad una crisi monetaria e finanziaria da tutti riconosciuta come senza precedente e tale da mettere in discussione non solo l’esistenza della moneta unica ma della stessa Unione Europea, le parole della terza carica dello Stato appaiono davvero incomprensibili.

L’idea stessa che il Parlamento o è messo in condizione di produrre spesa pubblica o è paralizzato è piuttosto preoccupante. Nella stragrande maggioranza delle democrazie occidentali succede esattamente il contrario e il vincolo di spesa del governo sui parlamenti è pressoché assoluto. Fa eccezione il Parlamento americano che ha sì un forte potere di spesa, ma all’interno di un sistema presidenziale in cui il Congresso o il Senato possono avere maggioranze diverse di quella al governo e il presidente ha ampio diritto di veto sulle leggi che l’amministrazione non condivide.

Il fatto dunque che la commissione bilancio della Camera blocchi le iniziative parlamentari che non prevedono tagli corrispondenti alle nuove spese previste, dovrebbe essere salutato come un comportamento lodevole e responsabile e non un’occasione per far passare i parlamentari per dei fannulloni e il governo come capriccioso e dispotico.

Se Gianfranco Fini tiene veramente a difendere la cosiddetta centralità del Parlamento e non considera il tema solo come la comoda rampa di lancio per le sue gittate polemiche contro il governo, ha molti strumenti per dimostrarlo. Primo tra tutti quello di far marciare le varie proposte di riforma dei regolamenti parlamentari che giacciano inevase in giunta del Regolamento e che non comportano alcuna spesa. Ma dall’inizio della legislatura Fini non ha mai – come è in suo potere – convocato una sola volta la giunta perché affrontasse questo tema.

La cosa è inspiegabile, tanto più che il Pdl, a firma Cicchitto-Bocchino ha presentato in campagna elettorale una sua proposta di riforma dei regolamenti parlamentari, facendone un elemento centrale del progetto politico e della proposta agli elettori del Pdl. Di cui anche Fini fa tutt’ora parte.

L’evoluzione maggiorataria del sistema politico italiano, necessita di questa riforma con grande urgenza. Non c’è infatti altro modo per indurre il governo a decidere dentro e non fuori dal Parlamento con l’armamentario classico dei decreti, dei maxiemendamenti e della fiducia. E questo modo è rendere il governo soggetto principale dei regolamenti parlamentari, dai quali invece è oggi  praticamente escluso.

Sarebbe una riforma in grado di garantire al governo il suo potere di condurre a compimento il programma per il quale è stato eletto, all’opposizione il ruolo da “governo in attesa” e quindi un suo particolare statuto, e infine di conferire al Parlamento una centralità vera e non solo di maniera, attraverso un genuino compito di controllo e garanzia. Non di allegro sperpero.

Fini sa benissimo queste cose. E proprio perché le sa i suoi richiami contro la paralisi del Parlamento non suonano convincenti come dovrebbero.