Perché quella del Papa negli Usa non è solo una visita pastorale
09 Aprile 2008
Benedetto XVI sarà negli Stati
Uniti dal 15 al 21 aprile. Il suo imminente viaggio fa già molto discutere gli
americani e sembra che la curiosità, l’interesse e l’attesa siano alti.
Washington Post e New York Times hanno già detto la loro, sostenendo che tra il papa
della “verità del cristianesimo” e il pluralismo americano c’è una sostanziale
incomprensione, che il viaggio non scalfirà. Il punto di vista liberal rimane piuttosto fermo ai suoi
canoni tradizionali.
Una novità è piuttosto venuta dalla rivista “Time”, che
dedica la copertina del fascicolo ora in distribuzione a Benedetto XVI e alla
sua prossima visita negli Usa.
In un editoriale di David
Van Biema e Jeff Israely si sostiene una grande affinità tra il papa e gli
Stati Uniti. Si ricordano i suoi numerosi viaggi da Cardinale, il fatto che
abbia nominato suo successore alla Congregazione per la Dottrina della Fede il
Cardinale Levada, arcivescovo di Los Angeles, ma soprattutto si sottolinea lo
stretto legame tra la teologia ratzingeriana del ruolo pubblico della religione
e la storia dell’America fin dai padri fondatori.
Già Tocqueville, infatti,
aveva mostrato come alle origini degli Stati Uniti ci fosse la religiosità dei Pilgrim Fathers più che non
l’illuminismo irreligioso alla francese. In questo senso si può sostenere che
l’America sia più vicina a Benedetto XVI che non l’Europa, ove persiste ancora
un laicismo ideologico che bandisce Dio dalla sfera pubblica, mentre il papa
ripetutamente rivendica il “diritto di cittadinanza” di Dio nel mondo.
Sono
proprio questi scenari a rendere molto interessante questo viaggio del papa
negli Usa, che secondo John L. Allen, editorialista del Catholic National Reporter, avrà tre
interlocutori: il governo americano, l’Onu e la Chiesa statunitense.
Il
programma infatti prevede che il giorno 16 aprile il papa incontri George Bush
nella sala ovale della Casa Bianca; che il 17 incontri i rappresentanti delle
altre religioni e il 18 quelli delle Chiese e confessioni cristiane. Sempre il
18 parlerà all’Assemblea generale dell’ONU e il 20 pregherà a Ground Zero. Oltre a ciò ci sono gli
appuntamenti con le varie realtà del cattolicesimo statunitense, tra cui due
messe in due stadi (Washington e New York).
Il nunzio apostolico negli Usa,
l’italiano Pietro Sambi, ha ovviamente ribadito che il papa va negli Stati
Uniti per confermare nella fede, nella speranza e nella carità la Chiesa americana. In altre
parole ha voluto tenere alla larga la politica dalla visita papale. I vescovi
americani in un sito chiamato www.uspapalvisity.org
interamente dedicato a fornire materiale sulla visita, specificano con grande
insistenza che il viaggio non intende influire sulla campagna elettorale in
atto e che “la Chiesa
non fa politica”. E’ vero, non fa politica bassa, ma fa politica alta. Sarebbe
sciocco imbrigliare le parole di Benedetto XVI dentro la contingenza
elettorale, però egli affiderà certamente agli Stati Uniti una nuova missione
universale: la diffusione della vera libertà, ossia della libertà nella verità.
Una missione molto americana, oltre che molto “cattolica”. Una medesima
missione verrà presumibilmente affidata alla Chiesa americana che, non
dimentichiamolo, ha un numero di cardinali secondo solo al gruppo italiano ed
ha risorse economiche tali da sostenere progetti di ambio respiro nel campo
dell’evangelizzazione e della difesa della vita e della famiglia.
Facendo
politica alta, il papa non potrà non toccare questi ultimi temi, con evidenti
ricadute anche nella campagna elettorale. Non per volontà del papa, ma per la
coerenza implicita nei suoi discorsi.
Non è per sua volontà che tra i candidati
democratici Clinton ed Obama e il candidato repubblicano McCain la differenza
maggiore consiste proprio nelle posizioni sull’aborto, sulla famiglia e sulla
bioetica. Il papa sa bene che su questi temi c’è un’emergenza mondiale, che
l’America latina sta subendo una fortissima pressione dalle lobbies
internazionali anti-life e che gli Stati Uniti hanno tutte le carte in regola
per guidare una involuzione di tendenza, che sarebbe impedita da una vittoria
democratica. Se le parole del papa saranno anche un giudizio sulla politica
americana sarà per colpa della politica americana, non per le sue parole.
Anche il discorso che il papa
terrà all’Assemblea generale dell’Onu, dopo quello formidabile di Giovanni
Paolo II del 5 ottobre 1995, desta una grande attesa. Ripetutamente questo
pontefice ha richiamato l’Onu alla fedeltà ai suoi motivi ispiratori originari
e a non cedere ad una interpretazione convenzionale e relativistica dei diritti
dell’uomo. Questo purtroppo avviene spesso, con grave perdita di credibilità
delle Nazioni Unite, specialmente nei confronti dei paesi più deboli.
E’ quindi vero, come sostiene il
Nunzio negli Stati Uniti, che la visita del papa è di carattere pastorale, ma è
inevitabile che le sue parole interpellino anche la politica. La politica alta.