Perché Renzi sul petrolio (e su tutto il resto) è vecchio
06 Aprile 2016
Dal Rottamatore ci si aspettava che dicesse: siamo in una fase di transizione energetica epocale, i nostri modi di vivere, di muoverci, di lavorare cambieranno, saremo sempre meno dipendenti dal petrolio, mentre sicurezza ambientale, efficienza, diversificazione energetica, innovazione tecnologica sono le leve di questo cambiamento. Invece Matteo va in tv per difendere il suo ammaccato ministro delle riforme, rivendica l’emendamento fatto passare nottetempo, continua a invitare gli italiani ad andare al mare il giorno del referendum.
Sarebbe questa l’Italia che riparte? La presa di coscienza di una vera politica industriale? E’questo il modo con cui Renzi vuole affrontare il mondo che cambia? Ieri una delegazione di M5S che era andata a visitare gli stabilimenti di Tempa Rossa in Basilicata se n’è tornata indietro con le pive nel sacco perché non li hanno fatti entrare. Conosciamo tutti i modi dei grillini ma se vengo a vedere che succede, e voi non mi fate entrare, è ovvio che le ragioni si oscurano e le reazioni si estremizzano. Vi sembra questo il modo di comunicare tra cittadini, loro rappresentanti e grande industria? E’ mai possibile che in Italia tutto si risolva sempre nello scontro tra local e global, ambiente e sviluppo, giustizieri e giustiziati?
Del resto è paradossale che proprio mentre si rincorrono le cronache giudiziarie sulle dimissioni della Guidi e sulla “necessaria” visita dei magistrati di Potenza al ministro Boschi, nei cinema esca un altro film su “Petrolio” di Pasolini. A tanti anni di distanza dalla morte dello scrittore italiano il nostro Paese sembra rimasto fermo a quella narrazione cupa di una Italia in mano alle lobby e ai poteri occulti. Ancora una volta la storia che torna sotto forma di farsa: che razza di democrazia anchilosata è la nostra, in cui non si riesce a trovare la quadra per investimenti trasparenti e sostenibili? Forse Renzi dovrebbe chiedersi perché fino adesso non è riuscito a superare quell’automatismo culturale per cui lo sviluppo industriale sembra una specie di castello dell’Innominato, qualcosa di intimamente reazionario, complice di una società e di una politica (una “casta”) che pensano solo al proprio tornaconto personale.
Com’è che siamo schiavi di queste visioni del passato e non riusciamo a cogliere il senso delle sfide complessive in atto? Nella serie televisiva “Okkupert”, il premier norvegese parla alla Nazione annunciando la fine della produzione petrolifera: la Ue chiede alla Russia di occupare militarmente la Norvegia per far ripartire le trivelle. E’ fantascienza? Forse. Il segno che sta cambiando tutto e che le cose potrebbero precipitare di colpo pericolosamente. Ma Renzi è troppo “vecchio” per capirlo. Il suo governo è vecchio. Gli interessi emersi con il caso Tempa Rossa sono vecchi. Vecchio il modo di gestire la politica industriale. Il “nuovismo” del nostro giovane premier si esprime soltanto nello stile, e nel tentativo di rompere alcuni antichi legami del Pd con la propria base sociale, e con chi la rappresenta, come i sindacati.
Non è nuova, invece, la sua visione dei problemi: basta pensare alla asfittica politica estera, all’elargizione degli 80 euro a destra e manca prima degli appuntamenti elettorali, a un jobs act parziale e sorpassato che è stato spacciato come rivoluzionario. Non c’è un progetto, non c’è una visione nuova, e non ci sono nemmeno le competenze necessarie per capire che tutto sta cambiando e bisogna tentare, almeno tentare, di adeguarsi. Renzi, purtroppo, nasce già vecchio. Ed è vecchissima la parola che puntualmente torna a sconvolgere politica e storia italiana, petrolio.