Perché Salvati non convince fino in fondo

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Perché Salvati non convince fino in fondo

14 Settembre 2013

di Ronin

Claudio Cerasa intervista sul Foglio il professor Michele Salvati. Colpisce, nel lungo articolo, il riconoscimento fatto da Salvati del berlusconismo: "è una una lezione straordinaria di cosa significhi avere un leader capace di trasformare il suo appeal in consenso elettorale. E le ultime elezioni credo abbiano fatto capire bene al Pd che senza un leader magnetico non si riescono ad attirare quei voti necessari per rappresentare qualcosa in più di un terzo del paese". 

Strada spianata per Renzi, dunque, e per le leadership carismatiche. Come pure, sempre per Salvati, "Uno dei grandi errori commessi in questi anni dal Pd, come racconta bene nel suo libro sul berlusconismo Giovanni Orsina, è aver regalato alla destra la battaglia contro le inefficienze dello stato ed essere diventato, per molte ragioni, il difensore di uno stato inefficiente". E di nuovo spazio a Renzi il rottamatore della sinistra statalista.

Riassumendo, Cerasa, che in passato ha votato Rosa nel Pugno e Partito democratico, intervista sul berlusconiano Foglio Salvati, ideologo del Pd. Salvati ci spiega che il berlusconismo va bene ma purtroppo Berlusconi continua ad essere "unfit" (e abbiamo visto quanto contino le previsioni dell’Economist). Scrive infatti Cerasa chiosando Salvati, "fino a che Berlusconi rimarrà al centro della vita politica per il Pd sarà tecnicamente impossibile curare i velenosi tic prodotti dall’anti-berlusconismo", considerando che il centrosinistra negli ultimi anni è rimasto "intrappolato in quello che il professore definisce il partito di MicroMega".

Tutto molto interessante ma sotto sotto ci chiediamo se il Foglio con questa intervista abbia voluto leggermente prendersi gioco dell’elettorato moderato e di centrodestra. Gli intellos del Pd adesso diventano berlusconiani e accoglieremo anche Salvati nel pantheon azzurro? O magari dovremmo essere contenti di fare un bel potlach berlusconiano? Tutto questo, per inciso, nel contesto di una sinistra che ha perso le elezioni vincendole (fenomeno davvero poco berlusconiano).

In realtà, il centrodestra liberale e conservatore può riprendersi l’Italia se eviterà l’errore fatto negli Usa dal Partito Repubblicano quando ha ceduto spazio al Tea Party. Nel nostro Paese c’è un pezzo dello spettro politico convinto che per vincere le elezioni occorrano purezza ideologica, rifiuto di ogni compromesso (visto come una forma di debolezza), integralismo, intolleranza al dissenso, fino a spingersi all’atteggiamento di odio verso la casta (vedi: la politica), antitecnologico e ostile al progresso dei 5 Stelle.

Alcuni di costoro possono autodefinirsi moderati, ma non lo sono, anche se spesso sanno dissimulare bene. Per cui benvengano le parole di una sinistra democratica che ha scelto di seguire una strada diversa da quella che abbiamo appena descritto. Ma al mondo liberale e conservatore in Italia non serve né la sudditanza psicologica verso la ormai presunta egemonia della cultura di sinistra né la tolleranza verso un populismo che ha sfondato i paletti delle vecchie categorie di destra/sinistra sfociando nell’antipolitica. Basta essere se stessi.