Perché senza la politica del rigore avremmo fatto la fine della Grecia

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Perché senza la politica del rigore avremmo fatto la fine della Grecia

10 Maggio 2010

Giovedì pomeriggio, a Montecitorio, ad ascoltare le comunicazioni del ministro Giulio Tremonti sulla crisi della Grecia (a cui l’Italia farà un prestito di 5,5 miliardi di euro) c’erano 58 deputati, in larga maggioranza appartenenti – circa una trentina – al gruppo del Pd. I deputati del PdL si contavano sulle dita di una mano. Pochi quelli degli altri gruppi: magari solo il deputato incaricato di intervenire insieme ad un collega.

Il giorno dopo, i capi di Stato e di Governo, a Bruxelles, hanno trascorso una notte drammatica nella ricerca di soluzioni immediate ed urgenti contro la crisi. 

La comunicazione del ministro, a chi l’ha ascoltata con attenzione, ha ricordato un altro intervento svolto in quella stessa Aula quando, nell’estate del 2008, fu proprio Tremonti a prevedere e ad annunciare le gravi difficoltà che, da lì a pochi mesi, si sarebbero presentate sullo scenario internazionale.

Così, con un’anticipazione di carattere straordinario che collegò il Dpef e la manovra, furono "messi in sicurezza" i conti pubblici per un triennio. Quella decisione di allora non fu compresa e venne criticata dalle opposizioni, ma si è rivelata corretta e opportuna alla luce degli eventi che seguirono e che purtroppo, non si sono ancora conclusi.

Ieri, furono i Governi ad impedire che la crisi del sistema bancario Usa varcasse l’Oceano e a garantire i risparmiatori sull’esigibilità dei loro conti correnti. Ma erano bastati alcuni titoli "tossici" nel circuito finanziario internazionale per determinare una crisi gravissima che avrebbe potuto provocare guasti ben più gravi di quelli effettivamente riscontrati.

Oggi, corriamo il rischio che venga meno quello scudo contro la speculazione che fino ad ora è stato assicurato dalla moneta unica, la quale ha garantito il nostro Paese e la nostra stabilità economica in un contesto internazionale molto critico.

La Grecia di oggi è lo specchio di ciò che sarebbe potuto accadere in Italia se non fosse stata adottata quella politica di rigore, temperato da misure di coesione sociale, che il Governo ha attuato. Oggi, sono gli Stati a rischiare la bancarotta; sono i conti pubblici a determinare il panico nei mercati finanziari. E’ l’euro che può implodere se le terapie di contrasto del ‘’contagio’’ – l’accelerazione degli interventi concertati da parte europea è significativa – non avranno successo. E se il virus colpirà altri Paesi.

Purtroppo, non vi è un’adeguata considerazione della crisi finanziaria innescata dalla Grecia e dei suoi effetti sull’euro che è il denominatore comune dell’economia dell’Eurozona.

Corriamo il rischio di una grave crisi finanziaria, che scoppi proprio nel cuore dell’Europa, nel momento in cui si avvertono i primi segnali di ripresa economica. È giusto, dunque, tentare di salvare la Grecia, anche con sacrifici che economie provate, come quelle dei Paesi dell’Unione europea e la nostra, sono chiamate a fare. Bene ha fatto il nostro Governo a sollecitare un piano in difesa dell’euro, da avviare subito dopo l’adozione del programma di salvataggio della Grecia, nell’auspicio che il tentativo non sia totalmente vanificato, in quel vicino Paese, dagli scioperi irresponsabili e criminali in corso, il cui nucleo duro poggia sul ceto parassitario del pubblico impiego deciso a difendere anche i propri privilegi.

All’inizio della crisi, nel 2009, l’Unione europea abbandonò a se stessi i Paesi baltici che per fortuna se la sono cavata da soli. Con la Grecia – nonostante che i suoi Governi abbiano truccato i conti pubblici alla stregua dei bilanci della Parmalat di Calisto Tanzi – dobbiamo onorare i nostri impegni. Almeno dobbiamo provarci. Non per solidarietà, ma per un preciso interesse comune.

Quanto a noi, per resistere all’offensiva della speculazione internazionale, l’Italia – che è appena al di sopra della linea della retrocessione – deve dare prova di solidità finanziaria e di stabilità politica. Alla prima di tali esigenze si risponde soltanto con una strategia rigorosa, assolutamente allineata con le indicazioni della Ue (la quale chiede di ridurre, ogni anno, il deficit in misura pari a mezzo punto di Pil). Alla seconda, con il superamento delle tensioni e dei risentimenti all’interno del PdL e della maggioranza. Questa volta, una crisi politica produrrebbe anche gravissime conseguenze sul piano economico.