Perché sui conflitti sociali c’è il rischio che l’Italia imiti la Francia

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Perché sui conflitti sociali c’è il rischio che l’Italia imiti la Francia

02 Aprile 2009

Non è la prima volta che i conflitti sociali in Francia sono afferrati da un raptus imitativo. In altri tempi (bisogna andare indietro di alcuni decenni) toccò alle fabbriche di essere occupate, una dopo l’altra. L’avventura cominciava dalle aziende più grandi (solitamente dalla Renault) e si estendeva in tutto il Paese. I sindacalisti si presentavano in assemblea e mettevano in votazione la scelta del se occupare o meno. A tale proposito bisogna ricordare che il centro del potere sindacale (dagli accordi di Grenelles del 1968) è insediato nei posti di lavoro, dal momento che i diritti sindacali sono riconosciuti alle strutture aziendali, diversamente dal caso Italia in cui è il sindacato esterno ad avere la titolarità delle prerogative e a trasferirle alle istanze di base.

In anni più recenti l’effetto imitativo ha riguardato il ricorso agli scioperi generali (spesso proclamati ad oltranza, quasi sempre nei settori dei servizi pubblici o della pubblica amministrazione), che, prima o poi, finivano chiamare in causa altre categorie in termini solidaristici.  Queste manifestazioni – esasperate nei toni, nei contenuti e nelle modalità di esecuzione – sono l’espressione di un’estrema debolezza delle organizzazioni sindacali, che sono incapaci di guidare ed indirizzare le lotte dei lavoratori quando le prospettive diventano difficili. Quando si finisce, infatti, per adottare fin dall’inizio di una vertenza forme di lotta radicali e disperate, si è già prossimi – ancorchè inconsapevoli – ad una cocente sconfitta.

Oltralpe il clima sociale si è fortemente deteriorato in queste ultime settimane. Con buona pace di quanti, da noi, non perdono occasione per magnificare il piano di Nicolas Sarkozy come un esempio da seguire ed imitare.

In Francia – già patria dei Lumi – hanno inventato un’altra forma di lotta: il sequestro dei manager. Da ultimo l’esperienza è toccata a Francois-Henry Pinault il patron della Gucci, "preso in ostaggio", per un’ora, sul taxi dove stava viaggiando ad opera di un centinaio di lavoratori per protesta contro i licenziamenti (torna alla mente, con un po’ di amarezza, il dibattito aperto in Italia a proposito di ammortizzatori sociali, dal momento che di tanto in tanto qualche paragone con quello che accade altrove non stonerebbe proprio). Ad altri manager è andata ancora peggio.

Forti sono i timori di un’escalation con aspetti di violenza non solo "privata", ma effettiva. La domanda è: questi fatti spiacevoli e criticabili possono accadere anche in Italia? A questa domanda siamo in grado di dare anche una risposta che si basa su di una previsione e sulla speranza di non essere smentiti. Da noi il fatto di avere un sindacato più forte e presente è sicuramente un vantaggio. La Cgil per giunta giustifica il suo agitazionismo con il proposito di dare uno sbocco ad una conflittualità sociale che, altrimenti, potrebbe assumere dei tratti ribellistici come i Francia o nel Regno Unito (non si parla più – per fortuna -dello sciopero contro i lavoratori italiani incaricati di lavorare nella raffineria della Total: si vede che è finito o che non fa più notizia).

In Italia, però, può succedere di peggio. Diversamente dalla Francia che ospita e coccola ex terroristi d’annata, ormai in pensione e in disarmo (anche se i loro reati non dovranno mai essere dimenticati), nel Belpaese si muovono nell’ombra gli epigoni di un terrorismo endemico, mai sconfitto del tutto, che ha già superato la fase degli atti dimostrativi (come i sequestri a tempo dei manager), ma che prepara attentati e – se può – spara ed uccide. Sarei curioso di leggere i rapporti dei Servizi per sapere che cosa dobbiamo aspettarci.

Per fortuna da noi – nonostante la Cgil – la conflittualità sociale è ancora molto limitata; nella gente prevale la preoccupazione per il futuro. In generale, poi, le persone non hanno dovuto cambiare più di tanto gli stili di vita, ma tutti si interrogano su come andrà a finire. E’ nella strategia del terrorismo giocare le proprie carte nelle situazioni in cui la conflittualità sociale divenga aspra ed incarognita.

Dobbiamo però mettere nel conto la possibilità di un salto di qualità del terrorismo rosso, magari andando a "risciacquare i panni" nella Senna. Ecco perché dobbiamo vigilare, senza conculcare in alcun modo il diritto dei lavoratori di protestare e di sostenere le proprie ragioni, ma, nello stesso tempo evitando di creare dei simboli, di sottoporre alla gogna mediatica le persone che più si distinguono e si espongono nelle scelte politiche necessarie in questa fase.