Perché sui tabulati telefonici di De Magistris nessuno protesta?
05 Ottobre 2007
La domanda è scontata ma
ineludibile. Se fosse accaduto durante il governo Berlusconi? Se le notizie su
cui ci si interroga in queste ore – vere o false che siano – fossero circolate
quando il Viminale e via Arenula erano sotto il controllo della Casa delle
Libertà? E ancora. Che fine hanno fatto le solerti vestali della democrazia che
tanto s’erano indignate, invocando commissioni d’inchiesta e la
disarticolazione degli apparati di sicurezza, quando s’è scoperto che un
funzionario d’intelligence addetto alle fonti aperte era bravo a smanettare su
internet?
Il
pm di Catanzaro Luigi De Magistris, che indagando su presunte truffe legate ai
fondi comunitari per la Calabria e sulla loggia massonica di San Marino ha
messo sott’inchiesta Romano Prodi, e il suo consulente Gioacchino Genchi, vice
questore fuori ruolo da tre lustri, gridano alla bufala e al complotto che
l’avrebbe ispirata. Eppure di smentite radicali non ne sono arrivate, e lo
stesso guardasigilli Clemente Mastella – che di De Magistris ha chiesto il
trasferimento all’esito di un’ispezione ministeriale – sembra confermare oggi
in un’intervista all’Unità quel che ieri La Stampa e Libero avevano rivelato:
ovvero che nel ricostruire il traffico telefonico degli indagati dell’inchiesta
“Why not”, Genchi avrebbe inoltrato negli ultimi mesi ai diversi
gestori telefonici una ventina di richieste di acquisizione di tabulati, per
migliaia di utenze identificate dal solo numero ma corrispondenti ad una sfilza
impressionante di uomini delle istituzioni: vertici dello Stato passati e
presenti, comandanti di corpi di polizia e servizi di sicurezza, capi di
partito, magistrati, parlamentari d’ogni ordine e grado.
La
(presunta) lista è da brivido: si va da Romano Prodi a Silvio Berlusconi,
passando per Giuliano Amato, Clemente Mastella, Marco Minniti, Franco Marini,
Per Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa. Ci sono poi il vicepresidente del
Csm Nicola Mancino (che lunedì si troverà a maneggiare il “caso De
Magistris” a Palazzo dei Marescialli), l’ex capo della Polizia Gianni De
Gennaro, il direttore del Sisde e quello della Polizia postale, il direttore
della Dia e un generale di corpo d’armata dei Carabinieri, il presidente
dell’Anm, il pm milanese Armando Spataro e quello romano Pietro Saviotti, fino
a una sfilza di parlamentari di cui ancora non si conoscono i nomi.
Che
si tratti di notizie inesatte (come sostengono Genchi e De Magistris) o di
rivelazioni corrispondenti al vero (come insistono a dire i giornalisti che le
hanno divulgate e come pare confermare il Guardasigilli), ce ne sarebbe stato
abbastanza per aspettarsi che da parte del mondo politico – in particolare
dalle vestali di cui sopra – arrivassero repentine richieste per un chiarimento
pubblico e immediato. Che si levasse un coro d’indignazione pari almeno a
quello che per mesi ci ha martellato a reti unificate presentando l’ufficio di
via Nazionale del Sismi come una delle più pericolose centrali di deviazione
nella storia dei Servizi segreti, e l’archivio di Pio Pompa come la prova di
una devastante attività illecita di controllo istituzionale.
E
invece no. L’urgenza di chiarire, salvo rare eccezioni, sembra poco avvertita
dalle parti dei palazzi del potere, più interessati evidentemente a seguire il
processo catodico andato in onda sulla tivù di Stato, con magistrati annessi,
ai danni di un Ministro che forse cerca di vederci chiaro. Dagli schermi di
“Annozero”, celebrante il gran sacerdote Michele
Santoro, Luigi De Magistris e il gip milanese Clementina Forleo hanno attaccato
i “poteri forti”, denunciato intimidazioni, confessato la loro
solitudine. E anche questo, in un Paese normale, dovrebbe far paura, perché
ogni volta che la giustizia diventa qualcosa d’altro, pesi e contrappesi
istituzionali saltano, e non può venirne nulla di buono.
Gli italiani questo ormai dovrebbero averlo imparato. Non è andata
così. L’unica domanda che ci si pone è perché Clemente Mastella vuol
trasferire De Magistris. Da cittadini, sarebbe più urgente chiedersi se è vero
che un magistrato che denuncia di doversi pagare la benzina per l’auto blindata
ha speso in tre anni sei miliardi di lire per il suo super-consulente – lo
ha detto Mastella a “Repubblica” -, e, soprattutto, se è vero che il
medesimo consulente ha chiesto e ottenuto, senza che se ne sapesse nulla,
una mole di tabulati telefonici tale da far impallidire i famigerati archivi
del Sifar tanto spesso evocati dalle anime belle improvvisamente silenti.
De Magistris spiega che parlerà compiutamente quando il Csm si occuperà di lui,
e assicura di avere materiale ed elementi per difendersi. Giura che i tabulati
di cui si parla non costituiscono oggetto né diretto né indiretto della sua
indagine. La Forleo difende il collega, e auspica che le ispezioni ministeriali
siano rigorose e penetranti anche quando oggetto di inchieste e possibili
errori giudiziari sono comuni cittadini. Descrive la solitudine del magistrato
che non guarda in faccia a nessuno: niente inviti a pranzo, niente serate al
cinema. I “poteri forti”, si capisce dalle parole del gip di Milano,
reagiscono scatenando intidimazioni e provocando isolamento umano e
professionale. Eppure in Procura a Milano non dovrebbero lamentarsi: nella
prima e celebre ordinanza della Forleo ai tempi del caso “Fazio –
Antonveneta”, finirono trascritte con tanto di numeri di cellulare le
telefonate fra l’allora capo della vigilanza di Bankitalia, Francesco Frasca, e
il suo avvocato, Franco Coppi. Un errore grave. Ma all’epoca i magistrati
evidentemente erano dalla parte “giusta”, e non risulta che i
“poteri forti” abbiano avuto granché da ridire.