Perché sul lavoro le donne italiane sono diverse dal resto d’Europa?
09 Febbraio 2009
Ancora una volta l’Unione europea è venuta in aiuto al Governo italiano, inducendolo – nuovamente dopo il caso della pensione di vecchiaia delle lavoratrici – ad intraprendere una linea di condotta rigorosa ed innovativa.
Nella rubrica della scorsa settimana avevamo ricordato la presa di posizione della Commissione, nella persona del commissario Victor Spidla, a proposito del divieto per le donne – dall’accertamento della gravidanza al compimento del primo anno del figlio – di prestare lavoro notturno. La Commissione aveva sostenuto che vietare alla donna di prestare lavoro notturno – ancorché sia disposta a prestarlo – costituisce, per la Commissione, un’incomprensibile forzatura, in quanto la lavoratrice sarebbe costretta a non lavorare per il solo fatto di essere donna.
La "messa in mora" da parte della Ue è caduta un po’ come il cacio sui maccheroni. Da tempo è aperta, infatti, una controversia tra la Nuova Alitalia ed alcune organizzazioni sindacali (ed alcune lavoratrici in forma singola) riguardante appunto l’esonero dal lavoro notturno del personale navigante. In sostanza, la Cai, che aveva accettato di assumere le donne, come richiesto dai sindacati, riconoscendone i diritti e le specifiche tutele, si era trovata con circa 400 domande di esonero dal lavoro notturno. Accettare una situazione siffatta avrebbe significato per la Cai l’assunzione di un onere improprio ed imprevisto. Così, l’Assaereo aveva avanzato istanza di interpello al Ministero del welfare per avere chiarimenti in merito alla disciplina dell’esonero dal lavoro notturno del personale navigante. Tali chiarimenti sono stati esposti dal Ministero con lettera del 4 febbraio, a firma del Direttore Paolo Pennesi.
La questione era stata già affrontata dalla Direzione generale competente con risposta ad interpello n. 33/2007 e con parere reso dalla Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro del 22 gennaio u.s. Con la citata risposta ad interpello n. 33/2007 il Ministero aveva sostenuto, nei confronti del personale navigante, l’applicabilità dei limiti al lavoro notturno come disciplinata dall’art. 53 del D.Lgs. n. 151/2001. Tale ultima disposizione, nonostante l’abrogazione operata dall’art. 19 del D.Lgs. n. 66/2003, era considerata, infatti, ancora in vigore con riferimento al personale navigante e ciò in base all’assunto secondo cui la stessa abrogazione avrebbe effetto esclusivamente con riferimento al campo d’applicazione del citato D.Lgs. n. 66. Ma adesso, nella risposta del Ministero all’interpello dell’Assaereo, si fa riferimento ai recenti rilievi mossi all’Italia dalla Comunità europea con lettera del 29 gennaio u.s. (procedimento d’infrazione n. 2006/2228) che richiedono ulteriori approfondimenti.
“La Commissione europea – sostiene la risposta all’interpello – ha messo in mora l’Italia poiché l’esonero delle lavoratrici madri dal lavoro notturno, in applicazione dell’art. 53 citato, risulta in contrasto con la normativa comunitaria, creando una discriminazione nei confronti delle stesse lavoratrici. Come sottolinea la Commissione, infatti, le direttive europee esonerano le lavoratrici madri dal lavoro notturno quando ciò va a detrimento della loro salute e dietro presentazione della relativa documentazione sanitaria. La normativa italiana, invece, impone un esonero automatico dal lavoro notturno e va al di là della protezione prevista in ambito comunitario, configurandosi peraltro come discriminatoria anche in ragione dell’inevitabile perdita di retribuzione legata all’esonero”. Ciò induce il Ministero – prosegue la lettera del 4 febbraio – a una riconsiderazione complessiva dell’intera problematica secondo una lettura sistematica che tenga maggiormente in conto, oltre alle particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa da parte del personale di volo, l’inopportunità di meccanismi “automatici” di esonero dalla prestazione lavorativa che prescindano da una verifica delle concrete situazioni che non consentono l’effettivo svolgimento della stessa durante il periodo notturno.
Inoltre, si legge nella risposta del Ministero, “non va, infatti, dimenticato che le specificità del settore richiedono l’individuazione di particolari diritti e doveri per detto personale che, non di rado, è tenuto a pernottare per periodi più o meno lunghi lontano dal luogo di residenza per poter svolgere la propria attività lavorativa. Peraltro, tale obbligo di pernottamento – implicitamente richiamato dall’istante – si configura come “immanente” alla stessa prestazione, differenziandosi evidentemente dal concetto di “lavoro notturno” nel quale il lavoratore, durante il periodo notturno, mette comunque a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative”. Tale circostanza – conclude il Ministero – è già di per sé sufficiente a giustificare una particolare disciplina dell’orario di lavoro del personale di volo, rispetto al quale il Legislatore del 2005 ha quindi individuato specifiche misure di tutela. In tal senso, infatti, l’art. 7 del D.Lgs. n. 185/2005 da un lato prevede che “il personale di volo che abbia problemi di salute aventi nesso riconosciuto con il fatto che presta anche lavoro notturno viene assegnato ad un lavoro diurno in volo o a terra per cui è idoneo(…)” e dall’altro garantisce allo stesso personale “un livello di tutela della salute e della sicurezza adeguato alla natura della sua attività”. Anche tali previsioni di carattere generico sottolineano dunque la necessità di specifiche discipline di tutela per il personale navigante, anche connesse allo svolgimento di una prestazione di lavoro notturno, rimettendo inevitabilmente alla contrattazione collettiva una declinazione delle misure da adottare.