Gran parte degli articoli della stampa economico-finanziaria italiana si balocca con i conti pubblici: con la loro solidità, con le loro prospettive tanto immediate quanto lontane.
Prodi, si è scritto, lascia i conti pubblici in buono stato (il riferimento è sistematicamente al deficit/PIL) e ha incassato il plauso della UE.
Di che preoccuparsi, dunque? Ha ragione il nuovo governo a non proseguire semplicemente sulla strada del precedente? E, soprattutto, perché incaponirsi nella riforma della Finanziaria?
Per rispondere a tutte queste provocazioni, vale la pena passare in rassegna taluni elementi su cui gli osservatori si sono spesi troppo poco. Eccoli, così come nelle scorse settimane li ha illustrati Giulio Tremonti nel corso dei suoi interventi pubblici: il deficit tendenziale previsto inizialmente al 2,4% è stato in ogni caso calcolato ignorando alcune voci di spesa pubblica (ANAS, Ferrovie, contratti). Come gli italiani sanno fin troppo bene pur non studiando macro-economia, si tratta di spese che comunque devono essere sostenute subito, per evitare su queste aree il blocco totale della macchina pubblica.
- 1. alcune importanti Regioni (Lazio, Puglia, etc.) hanno già sfondato il tetto previsto per la loro spesa sanitaria e per questo a norma di legge devono essere commissionate;
2. non è stato ancora quantificato il rischio sui c.d. derivati stipulati dai Comuni;
3. non è dato conoscere con esattezza l’entità dei conti dei Comuni stessi: in queste ore Alemanno sta provando per esempio a fare chiarezza su quelli della capitale, ma i segnali non sono positivi;
4. la “copertura” della riduzione dal 33% al 27,5% dell’aliquota sulle società, è stata giudicata – a ragione – parziale e incerta dalla stessa Commissione Europea;
5. è attesa una sentenza della Corte Costituzionale che dichiarerà detraibile l’IRAP dalle imposte dirette;
6. c’è il rischio di una significativa revisione peggiorativa di alcune importanti voci di spesa pubblica relative alle Ferrovie, etc;
7. dulcis in fundo, se l’andamento complessivo dell’economia nel 2007 è stato buono, le previsioni per il 2008, ribadite da Mario Draghi nella sua relazione finale di pochi giorni fa, lasciano intravedere una battuta d’arresto.
In sintesi, sommando le dinamiche ed i rischi insiti nelle voci di cui sopra, è ragionevole l’ipotesi che già nel 2008 l’Italia vada vicino o sopra al 3%. E’, questa, la soglia da cui (ri)parte la procedura europea di deficit eccessivo.
Ora, l’Italia si è formalmente impegnata in Europa a realizzare, in applicazione del Patto di stabilità e crescita, un piano di arrivo al pareggio di bilancio entro il 2011.
Come rispettare l’impegno triennale? C’è bisogno di strumenti – triennali anch’essi – autenticamente nuovi per trasmettere subito, da parte del nuovo Governo, un segnale straordinario di forza e di novità.
In sintesi “tecnica”, questa ipotesi si basa sulla scelta strategica di concentrare, tra maggio e luglio, tutti i provvedimenti relativi tanto al 2008, quanto al triennio 2009 – 2011.
In sintesi “politica”: l’impegno triennale europeo è già stato preso e non ci sono alternative, l’unica strategia politica intelligente è quella di fissarlo e formalizzarlo, tutto e da subito.