Perché Vendola fa paura al Pd
23 Luglio 2010
Brividi di potere, accessi di rabbia e sudori freddi. E’ una improvvisa accelerazione lungo la traiettoria di una leadership nascente quella che Nichi Vendola consuma in questi caldi giorni di luglio. Una sfida aperta, lasciata cadere come un macigno nel mare piatto del Partito Democratico e di tutto il centrosinistra che provoca non pochi mal di pancia nelle stanze di Via del Nazareno.
Vendola, governatore impaziente sempre alla ricerca di orizzonti più vasti, di frasi dal compiaciuto gusto estetico e slogan capaci di toccare l’immaginario della sinistra radicale, innesta la marcia e si getta nell’agone politico, annunciando che è pronto a fare il premier e rappresentare tutta l’opposizione per “sparigliare i giochi della vecchia politica”.
Un obiettivo che il presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra e libertà ribadisce in una sequenza di interviste e di interventi che assomigliano molto a una campagna mediatica di presentazione del suo nuovo profilo identitario: quello del “candidato”.
Una strategia accompagnata da un’apparizione-passerella nel Transatlantico di Montecitorio, dove si intrattiene in una sequenza di colloqui con politici di varia provenienza, da Pier Ferdinando Casini, che lo ha preso sottobraccio (“è il nuovo centro”, ironizza il leader centrista) a Gianfranco Fini (col quale potrebbe costituire, secondo la scherzosa definizione di Benedetto Della Vedova, il governo “non delle larghe ma delle larghissime intese”) e Renato Brunetta.
Colloqui multiformi per un personaggio che vuole a tutti i costi presentarsi come il vessillifero della nuova identità della sinistra, una sinistra che ha il torto di “non aver inteso la trasformazione del paesaggio sociale italiano e non aver saputo offrire altro racconto. Deve curarsi, ha una grave malattia". Vale a dire “la sindrome di Zelig. Per paura di perdere contro Pdl e Lega, si traveste da destra. Per paura di perdere il consenso del mondo cattolico, si traveste da cardinale. Per paura di perdere i voti degli imprenditori, si traveste da Confindustria”. E a chi gli chiede se lui si considera il nuovo leader, risponde senza esitazioni. “Sì, perché sono un antileader. La gente mi vuol bene per le caratteristiche che mi differenziano dalle ordinarie leadership. Perché mi sente, c’è un’empatia, una relazione epidermica, emotiva forte. Con la mia discesa in campo sto cercando di portare un po’ di vita nel centrosinistra. Credo che il Pd non possa non considerare il tema che io pongo: una rifondazione del centrosinistra e le primarie come metodo indispensabile”.
Il Vendola-pensiero produce l’effetto facilmente prevedibile tra i potenziali alleati e azionisti della sua candidatura.
Se Antonio Di Pietro fa subito esplodere il suo fuoco di sbarramento rispetto a un competitor che sembra muoversi in un’area di consenso abbastanza simile alla sua, il Pd oscilla tra malumore, gelo e inviti alla ragionevolezza con il numero due del partito, Enrico Letta che gli consiglia di accontentarsi del ruolo di “nuovo Bertinotti”, puntando a recuperare i “milioni di voti” persi a sinistra ma rinunciando a velleità di premiership.
Pier Luigi Bersani tiene a freno la lingua per un paio di giorni. Poi, a freddo, durante una conferenza stampa dice la sua e a chi gli chiede cosa pensi dell’attivismo di Nichi Vendola che, dopo essersi autocandidato alle primarie per la leadership del centrosinistra ha anche preso contatti con parlamentari del Pd, replica che si tratta di una iniziativa “fuori contesto”. “Stiamo parlando di allestire un’alternativa a Berlusconi – spiega Bersani – e tutto quello che può muoversi in termini di energie e di risorse per questo è una risorsa, e questo lo confermo. Ma confermo anche che il nostro tema oggi non è impostare la campagna per le primarie, quando ci arriveremo il nostro Statuto prevede primarie di coalizione, ma aprire oggi questa discussione non è utile, al centro della nostra azione ci deve essere la difficoltà in cui si trova del governo, che noi dobbiamo incalzare, insomma il problema ora è dall’altra parte del campo”.
Il problema è che Vendola la sua candidatura l’ha messa in campo eccome. E certo non ha rispettato le liturgie di partito, né si è soffermato a considerare che il candidato dovrebbe essere il segretario di Via del Nazareno, almeno a dare retta allo Statuto scritto ai tempi del Pd veltroniano.
Inoltre, se da una parte ci sono malumori, dall’altra c’è già un drappello di “vendoliani” pronto a sostenerlo, un orizzonte variegato che va da Rifondazione ai Verdi, dall’ala sinistra dell’Idv ai grillini, più molti movimenti, a partire da quello dell’acqua, oggi forte di oltre un milione e mezzo di firme raccolte.
In questo quadro ancora nebuloso, chi ha la lucidità di paventare lo spettro di una romantica cavalcata verso la sconfitta è Beppe Fioroni. “Al di là di tutto dobbiamo capire che serve un candidato non che spariglia nel centrosinistra, che è già abbastanza sparigliato, ma che sparigli nell’elettorato del centrodestra. E questo Vendola non è in grado di farlo. Il gruppo dirigente del Pd deve avere la stessa lungimiranza che ebbe Andreatta nel 1996, quando scelse Prodi. Oggi serve un candidato che allarga gli orizzonti, che apre scenari nuovi. Tutti i leader del centrosinistra oggi possono dare un contributo, ma non facendo un passo avanti, bensì un passo indietro per scegliere un candidato che potrebbe fare meglio di noi”.
Ancora più duro Massimo Cacciari. “Ben venga Vendola candidato premier, così si sancirà la fine del Pd anche dal notaio. Vendola è inconcepibile rispetto al progetto originario del Pd come partito di governo, riformatore e con una destinazione nuova rispetto alle antiche provenienze. Ma visto che quel progetto è miseramente fallito, allora ben venga Vendola. Rappresenta settori dell’elettorato e dei dirigenti Pd, quindi è del tutto legittimato a candidarsi a eventuali primarie. La sua vittoria sancirebbe la fine del Pd: non potrebbe mai essere accettata dalla stragrande maggioranza delle componenti che vengono dalla Margherita. Se così sarà, tanto vale metabolizzare il lutto e via”.
Un’analisi diversa fa Peppino Caldarola per il quale la vera sfida per il Pd è trovare un candidato che esprima la vera anima riformista del partito e sia in grado di sostenere la sfida con il neo-candidato pugliese”. Inutile cercare tra i giovani, è il suo ragionamento perché “Nichi li fregherebbe tutti, un po’ è straniero in patria anche lui e poi conosce lo slang della società civile. Bisogna quindi scegliere esponenti del Pd che abbiano già una relativa notorietà e che sappiano combattere in quelle che si annunciano come le prime vere primarie nazionali del centrosinistra, quelle cioè dal risultato incerto. Mi vengono in mente quattro nomi. Sono Sergio Chiamparino, Enrico Letta, Matteo Renzi, Nicola Zingaretti”. Un toto-antagonisti che non prevede il nome di Bersani. Il motivo? “Forse senza sua colpa gli è stata addebitata una opacizzazione dell’immagine del Pd. Non è un buon biglietto da visita. Se non si da una mossa rischia di essere tagliato fuori”.
Insomma il messaggio è chiaro: candidato riformista cercasi. Sempre che qualcuno voglia davvero iniziare a mettersi in gioco e scoprire le proprie carte. Un’incertezza e un attendismo che potrebbero favorire Vendola. E lasciargli accumulare un vantaggio che in tempi relativamente brevi potrebbe risultare incolmabile.