Perché volano le pensioni di anzianità

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Perché volano le pensioni di anzianità

22 Novembre 2010

Le pensioni di anzianità sono il nervo scoperto del sistema obbligatorio. Ogni evento che riguarda tale prestazione è destinata a "fare notizia".

E’ singolare che un trattamento anticipato (che è presente anche in altri Paesi europei, sia pure con l’onere di disincentivi di carattere economico) susciti più attenzioni di quanto accade al pensionamento di vecchiaia (che costituisce ovunque la prestazione tipica della protezione della vecchiaia). Per spiegare tale circostanza è sufficiente riflettere su quanto avviene nella realtà delle coorti incluse nel sistema retributivo: ad avvalersi della prestazione anticipata sono gli appartenenti ai settori più forti, in generale uomini entrati nel mercato del lavoro ad un’età particolarmente precoce, che hanno avuto una vita attiva caratterizzata da continuità e stabilità.

Della pensione di vecchiaia, invece, sono costretti ad usufruire i settori deboli come le donne o gli addetti all’edilizia, all’agricoltura o al turismo, dove la temporaneità del lavoro non è stata inventata dai "cattivi maestri" della precarietà. Succede, allora, che i dati del pensionamento d’anzianità trovino spazio nelle prime pagine dei quotidiani e nelle aperture dei tg. Figurarsi quando il loro numero, nel 2010, diminuisce del 54% nei confronti dell’anno precedente.

Ma se gli ubriachi non usano i lampioni per vedere meglio di notte ma per appoggiarvisi nel loro incerto cammino verso casa, così, in tanti si avvalgono delle statistiche per sostenere le loro tesi politiche, soprattutto quando si tratta di pensioni. Quelli che sono contrari agli interventi sull’età pensionabile sostengono, ad esempio, che "il silenzio è d’oro". Guai a parlarne, dunque, perché i lavoratori si allarmano e si precipitano in pensione, appena maturati i requisiti; mentre, se tutto restasse come prima, continuerebbero volentieri a lavorare.

Molti osservatori commentano i dati riguardanti il massiccio incremento dei pensionamenti d’anzianità nel 2010 chiamando in causa la "finestrona" di un anno dal compimento dei requisiti per poter esercitare il diritto a pensione, introdotta dal Governo nella manovra estiva. Si fa notare che, sommando i nuovi criteri che entreranno in vigore il 1° gennaio (60 anni di età minima, se dipendente, 61 se autonomo + quota 96) all’anno richiesto per poter esercitare il diritto, si arriva a 61 (o a 62) anni.

Così, le nuove regole – affermano – inducono ad uscire dal mercato del lavoro, dimenticando, a bella posta, che la nuova norma sulle "finestre" si applica dal 2011, mentre quanti hanno maturato i requisiti nell’anno in corso, conservano le vecchie regole – sempre con riferimento alle "finestre" – anche se decidono di posticipare la quiescenza. Ha ragione, quindi, il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua: l’andamento altalenante dei pensionamenti di anzianità (talora in forte decremento, altre volte in significativo aumento) dipende ben poco dalle propensioni individuali, assai di più dalle regole.

In applicazione della legge n.247 del 2007 l’istituto dell’anzianità sta andando "a regime". Dal 1° gennaio 2013 occorrerà far valere "quota 97" (sommando età anagrafica e anni di versamenti contributivi) insieme ad un requisito anagrafico minimo di 61 anni, se lavoratore dipendente, di 62 se autonomo. Poi occorrerà attendere un altro anno (18 mesi per gli autonomi) dal compimento dei requisiti. Al traguardo si arriva seguendo un percorso di graduale inasprimento delle regole d’accesso.

Succede, allora, che quando i requisiti diventano più severi anche le prestazioni diminuiscono; poi si determina un periodo di tregua che consente una sorta di "libera uscita" degli aventi diritto, fino al momento in cui scatterà (già il 1° gennaio prossimo) un’ulteriore accelerazione dei requisiti. Ovviamente, più ci si avvicinerà all’andata a regime, più diminuiranno anche i trattamenti di anzianità perché le norme diventeranno più severe.

A quel punto, per i lavoratori che hanno iniziato la loro attività molto presto, la via d’uscita più favorevole sarà quella dei 40 anni di servizio a prescindere dall’età anagrafica. 

Sul versante delle pensioni è bene ricordare altre due questioni molto importanti. Nel collegato lavoro è contenuta una norma di delega (da esercitare entro tre mesi) per il riconoscimento di talune agevolazioni a favore dei lavoratori adibiti a mansioni usuranti, una storia vecchia di anni che non è mai riuscita a vedere la luce. Inoltre a fine anno arriva a scadenza una norma sulla rivalutazione delle pensioni.

La legge n.247 del 2007 aveva elevato la copertura piena sull’inflazione per le pensioni di importo pari a cinque volte il minimo (in precedenza la copertura del 100% riguardava solo le prestazioni di importo fino a tre volte il minimo). A questo proposito, nell’ambito del dibattito sulla legge di stabilità alla Camera, il Governo ha accolto un Odg sottoscritto da alcuni deputati del Pdl (a prima firma Mazzuca) che invitava a risolvere il problema. Si vedrà.