Perse le primarie, l’obiettivo di Renzi diventa il Congresso PD del 2013
03 Dicembre 2012
C’erano pochi dubbi che Pier Luigi Bersani si sarebbe aggiudicato il secondo round. La difficoltà di Matteo Renzi di mobilitare una seconda volta un elettorato eterogeneo, il sostegno al segretario di un voto coeso e strutturato, l’endorsement di Nichi Vendola, hanno permesso al segretario di sfoderare un registro da vincitore già da sabato.
Nella sede centrale del suo comitato elettorale, a via Montecatini a Roma, intorno alle 19.00, a urne aperte, Anna Paola Concia, Roberto Speranza e Alessandra Moretti erano proiettati alla festa che si sarebbe tenuta di lì a tre ore al Teatro Capranica. Anche tra lo staff romano di Renzi si respirava la stessa aria. “Speriamo di contenere il distacco, c’è differenza se arrivi al 39% oppure al 43%” ragionava profeticamente un membro della brigata del sindaco.
Già, perché non essere riusciti a raggiungere la soglia psicologica del 40% potrebbe rivelarsi una zavorra non indifferente per il network del sindaco di Firenze. Che da oggi si trova davanti il complicato compito di capitalizzare, senza disperderlo, un patrimonio di idee, relazioni e credito politico che se è uscito acciaccato dai gazebo rappresenta pur sempre una fetta consistente dell’elettorato del centrosinistra.
Dopo qualche ora di riposo, scatterà l’analisi del voto. Si dovrà concentrare in particolar modo nel cercare di capire perché al secondo turno si è arrivati lontano, in termini numerici, da quota 1,1 milioni di voti, tanti quanti erano stati conseguiti una settimana fa. E se, come accennato, il dato è indice della complessità di rimobilitare a stretto giro un elettorato poco organizzato, l’incapacità di intercettare una quota sia pur residuale degli elettori che al primo turno hanno scelto gli altri candidati (in primo luogo Vendola) è una questione che Renzi si dovrà porre se vuole prepararsi la strada per una seconda chance.
Non vuole fare correntine, il sindaco, e ha annunciato che da oggi si ritirerà a Palazzo Vecchio. Ma l’uomo è ambizioso, e non ha nessuna intenzione di fare il sindaco a vita. Tuttavia vuole anche evitare di mercanteggiare un posto di responsabilità nel partito o nel futuro governo. L’immagine di novità, di politico che si tiene lontano dai tatticismi e dalle beghe di Palazzo, è il capitale politico più ponderoso che Renzi si è conquistato in questi mesi. Per non disperderlo, dovrà evitare di farsi cooptare nell’establishment.
L’obiettivo è chiaro: sperare che la prossima legislatura duri non più d’un paio d’anni, e ripresentarsi come il salvatore della casa Democratica. La difficoltà sarà rimanere al di fuori della mischia e al contempo cercare di conquistare la macchina del partito. Il mancato controllo della quale ha costituito, soprattutto nei grandi centri urbani, il vero tallone d’Achille nella costruzione del consenso renziano.
Non c’è ancora uno schema preciso sul da farsi, ma i suoi già pensano al Congresso del partito nel 2013: “Servirà anche lì qualcuno che interpreti la nostra istanza di cambiamento”. “Ma – avverte un navigato dirigente – se rimani in panchina e speri di rispuntare fuori fra otto mesi fai un grave errore. Il consenso politico si costruisce combattendo giorno dopo giorno, altrimenti altro che 40%…”.