“Persepolis” in Tunisia: quando un cartone fa paura ai fondamentalisti

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“Persepolis” in Tunisia: quando un cartone fa paura ai fondamentalisti

10 Ottobre 2011

Alla vigilia delle elezioni del 23 ottobre per l’elezione dell’Assemblea costituente in Tunisia l’atmosfera è tesa, estremamente tesa. Il confronto che vede contrapposti lo schieramento che guarda con favore gli estremisti islamici del movimento Al Nahdha, legato ai Fratelli musulmani e guidato da Rached al-Ghannouchi, e lo schieramento laico, liberale e democratico che fa riferimento al Polo democratico modernista, è sempre più acceso. I sondaggi danno per vincente il primo raggruppamento, che indubbiamente è più organizzato ed è economicamente più forte, ma il Polo non demorde e c’è chi sostiene che dalle urne possa uscire una smentita ai sondaggi. La verità la sapremo solo a fine mese.

Nel frattempo nessun colpo viene risparmiato. Anche la messa in onda da parte di Nessma TV di un cartone animato, tratto da un fumetto pubblicato nel 2004, infiamma gli animi e scatena il dibattito politico. Trecento integralisti hanno cercato di appiccare il fuoco alla emittente tunisina. Bisogna ammetterlo non è un cartone animato qualsiasi. E’ il celebre “Persepolis” della fumettista iraniana Marjane Satrapi. E’ in primo luogo l’autobiografia dell’autrice che narra e denuncia con molto coraggio e schiettezza la teocrazia islamica iraniana. Racconta il momento in cui da bambina, a seguito della rivoluzione khomeinista del 1979 viene obbligata a indossare il velo. “Non sapevo che cosa pensare del velo. Nel mio intimo ero molto religiosa, ma come famiglia eravamo molto moderni e all’avanguardia. Ero nata con una religione. All’età di sei anni ero già convinta di essere l’ultimo profeta. Questo accadeva pochi anni prima della rivoluzione” dice la protagonista del fumetto/film. Non solo ma sua nonna viene descritta come la prima convertita alla nuova religione della nipote.

E’ evidente che “Persepolis” è un’aspra critica della teocrazia khomeista, è un inno alla laicità, ma soprattutto alla libertà di religione e di espressione. La protagonista del fumetto/film riflette: “Il regime aveva compreso che una persona che esce di casa domandandosi: ‘I miei pantaloni sono sufficientemente lunghi?’ ‘Il mio velo è a posto?’ ‘Si nota il mio trucco?’ ‘Mi frusteranno?’ non si domanderà più: ‘Dov’è la mia libertà di pensiero?’ ‘Dov’è la mia libertà di parola?’ ‘La mia vita è vivibile?’ ‘Che cosa succede nelle prigioni politiche?’. Quando abbiamo paura, perdiamo ogni senso di analisi e riflessione. La nostra paura ci paralizza.” Sono senza dubbio parole che costringono a riflettere. Tutto il fumetto/film è un susseguirsi di frasi di questo genere. Forse è proprio questo che ha spaventato alcuni ambienti tunisini vicini all’estremismo islamico. Il sito Tribune Tunisienne ha commentato la messa in onda di Persepolis – tra l’altro per la prima volta doppiato in tunisino – come segue: “Perché questo film è stato proiettato questa sera su Nessma? La risposta mi sembra chiara ed evidente per tutti noi: la catena televisiva deve lanciare un messaggio al tunisino.” Forse la Tribune ha ragione, ma se così fosse, perché no? La messa in onda è stata seguita da un dibattito sull’estremismo islamico. Perché no?

E’ preoccupante, triste e doloroso quanto la libertà d’espressione che tanto è mancata ai tunisini durante il regime di Ben Ali, sia nuovamente messa a repentaglio dall’estremismo islamico che, pur non essendo ancora giunto al potere, detta già legge. Nella veste salafita cerca di dettare legge con la forza, nella veste estremista legata ai Fratelli musulmani detta legge attraverso i tribunali, come è stato per il caso della regista Nadia El Fani.

Le elezioni si avvicinano e sono fermamente convinta che più che per la proiezione di “Persepolis” da parte di Nessma TV i tunisini dovrebbero riflettere sulla reazione dell’estremismo islamico che si sente provocato, oltraggiato da un cartone animato che ha come unica colpa quella di essere un inno alla libertà. Queste reazioni sono comunque, a mio parere, dettate dalla paura che la mente dei tunisini possa continuare a pensare e a non essere quindi terreno fertile per un’ideologia che non lascia alcuno spazio al libero pensiero. Voglio sperare che i tunisini siano sufficientemente maturi da non cadere nella trappola dell’estremismo, con l’illusione di custodire il retaggio islamico cancellato da anni di laicità imposta, perché se così fosse si renderebbero presto conto che una dittatura in nome dell’islam non è certo un’alternativa migliore a una dittatura laica.