“Pescara Lavoro”, quando le Province dimostrano di non essere un inutile carrozzone

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“Pescara Lavoro”, quando le Province dimostrano di non essere un inutile carrozzone

02 Maggio 2012

Perché abolire le province quando dimostrano di essere istituzioni utili, efficienti, moderne, attente ai bisogni dei cittadini? Viene spontaneo chiederselo davanti ai gazebo bianchi e azzurri che in questi giorni campeggiano con orgoglio a Piazza Salotto, nel centro di Pescara. Viene spontaneo chiederselo davanti alla partecipazione – davvero numerosa – di tanti ragazzi, che finalmente hanno un interlocutore reale davanti ai tanti dubbi che li assalgono quando è il momento di avvicinarsi al mondo del lavoro.

Si inserisce bene la manifestazione organizzata dall’Assessorato al Lavoro della Provincia di Pescara e giunta alla terza edizione, nel dibattito sull’abolizione delle Province. Anche quest’anno la provincia di Pescara ha acceso i riflettori sul mondo del lavoro, con la sua manifestazione Pescara Lavoro, l’evento dedicato all’occupazione e alla formazione, attraverso un ricco calendario di iniziative: sportelli informativi, career day, workshop, servizi, iniziative di formazione, attività di laboratorio. Anche a questo servono le Province, nonostante non abbiano più risorse sufficienti. Forse è la riprova di quanto affermano da tempo e con decisione i presidenti delle quattro province abruzzesi  – Guerino Testa (Pescara), Antonio Del Corvo (L’Aquila), Enrico di Giuseppantonio (Chieti), Walter Catarra (Teramo) –: “Non si tratta di carrozzoni inutili, di cui si può fare tranquillamente a meno, stralciandoli dalla Carta costituzionale”.

Per i diretti interessati, infatti, “se i cittadini hanno l’impressione che questi enti non funzionino è perché, in questi anni, non sono state assegnate funzioni e risorse sufficienti per programmare e investire. Il cosiddetto Decreto Salva Italia, nella parte in cui sancisce la fine per ‘lenta agonia’ della Province non fa sicuramente il bene del Paese – hanno scritto in un documento congiunto di qualche tempo fa -, come dimostrato dai risparmi irrisori tra l’altro vanificati dai disagi e maggiori costi per la ridefinizione delle competenze e dei servizi che dovranno comunque essere garantiti, ma soprattutto perché rappresenta una ulteriore e pericolosa contrazione della libertà decisionale e della rappresentanza democratica”.

Resta però il problema della molteplicità dei centri decisionali, che dilatano tempi e costi. Ma che probabilmente non saranno risolti da una riforma fatta in fretta e furia, che non tiene conto di tutti gli interessi in campo. Lo sottolinea bene un recente articolo apparso sul Corriere della Sera, in cui Cesare Pinelli affronta proprio la spinosa questione dell’utilità delle Province. Il suo è un sì, condizionato però alla definizione di ruoli precisi. Perché se è vero che un ente intermedio è necessario – e Pinelli insiste sulle “funzioni di vasta area” affidate alle Province, come la pianificazione urbanistica o della rete dei trasporti, che non possono essere lasciate a Regioni o Comuni – l’altra faccia della medaglia è che le Province italiane hanno funzioni che troppo spesso vanno oltre. L’esempio è quello dell’edilizia scolastica, solo per citarne uno. Funzioni che comunque prevedono assessorati, personale amministrativo. In poche parole: spreco di tempo e di denaro pubblico. E’ per questo che occorre una vera riforma, che non rifletta gli errori del passato, ma concentri nelle mani delle Province poche e ben definite funzioni e ne limiti il numero.

Poche e ben definite funzioni, quindi. Eliminare o peggio lasciare al guado le province significa lasciare il territorio, la comunità locale, senza difese, senza presidii, senza tutele. Senza le Province, forse, si rischia solo un’Italia infinitamente più fragile.