Piazza Tahrir spaventa ancora i militari con il “Venerdì della Riconciliazione”
30 Luglio 2011
“Il 23 Luglio siamo stati intrappolati nel quartiere di Abbasseya”, dice Ahmed Ali, uno degli attivisti che a marzo partirono da Piazza Tahrir per protestare fin sotto il ministero della Difesa. Ahmed aggiunge che “i movimenti che hanno annunciato il sit-in a Piazza Tahrir erano inizialmente d’accordo nel lanciare la marcia una settimana prima del 23 Luglio. Quel giorno eravamo approssimativamente in cinquemila radunati in piazza e verso le 16.30 ci siamo incamminati verso il ministero della Difesa, nel quartiere di Abbasseya, come atto simbolico per ricordare alla Giunta militare di rispondere alle domande della rivoluzione; domande che, fino a quel momento, erano state eluse senza ovvie ragioni”.
Ahmed continua: “Lungo la strada continuavamo a fare proseliti, molte persone hanno mostrato solidarietà per la nostra marcia, fino a contarne più di ventimila quando siamo arrivati di fronte alla moschea di El-Nour, dove abbiamo trovato barricate, filo spinato, veicoli blindati, polizia militare e forze della sicurezza nazionale che ci hanno impedito di proseguire; tutti i lati della strada erano bloccati. Alcuni sono riusciti a scappare prima dello scontro, i manifestanti rimanenti erano circa quattromila, e abbiamo notato in una strada laterale sulla destra circa mille persone che hanno cominciato a provocare, prima insultandoci, poi tirandoci contro spranghe e pietre. Abbiamo cercato di rispondere con le pietre che ci tiravano addosso, ma eravamo circondati da queste persone che ci colpivano persino nascondendosi dietro la polizia e i militari; così, quando noi rispondevamo sembrava quasi che volessimo colpire le forze dell’ordine. Era un grande caos, tutte le strade erano chiuse, perciò non potevamo ritirarci. L’Imam della moschea è riuscito ad aprirci una via fuori da quell’Inferno, è stato l’unico ad averci realmente protetto, visto che la polizia e i militari osservavano la situazione senza intervenire. Ci siamo ritirati verso piazza Tahrir, dove siamo arrivati verso mezzanotte, naturalmente c’erano molti feriti, più di 300 secondo il ministero della Salute. Alcune persone del quartiere di Abbasseya ci hanno riferito che alcuni ufficiali militari li avevano avvertiti di una “marcia di teppisti” alla quale dovevano resistere, altrimenti avrebbero visto distrutte tutte le loro proprietà. Comunque, i residenti di Abbasseya hanno poi organizzato due marce dal loro quartiere fino in piazza Tahrir, per chiedere scusa degli incidenti e sostenendo che non erano stati loro ad iniziare gli scontri, erano stati completamente fuorviati dai militari”.
L’eco di quanto accaduto nella notte del 23 sta ancora risuonando sulla scena politica egiziana. Il giorno dopo, la conduttrice di un talk-show, Dina Abd El-Rahman, è stata licenziata dall’emittente satellitare indipendente dove lavorava per aver litigato con il generale Hassan Rwayini, membro del Consiglio militare, e con il generale Abd El-Moneim Kato, un esperto strategico. La lite è scoppiata per aver difeso la scrittrice Naglaa Bedeir che accusava il Consiglio militare di violenze ingiustificate proprio in merito al 23 luglio. Vale la pena di ricordare che due giorni prima dei tristi accadimenti del 23 luglio, il Consiglio militare ha rilasciato la dichiarazione numero 69 in cui accusava esplicitamente il movimento giovanile 6 Aprile di essere composto da rivoltosi e di pensare unicamente alla propria agenda.
Il movimento 6 Aprile, insieme ad altri movimenti giovanili, ha rifiutato il documento del Consiglio militare, e ha chiesto alla giunta di mostrare delle prove per queste accuse.
Traduzione di Lorenzo Fimiani e Costantino Pistilli.