“Pillola abortiva, la Regione Umbria non rispetta le indicazioni sulla RU486”

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“Pillola abortiva, la Regione Umbria non rispetta le indicazioni sulla RU486”

11 Gennaio 2019

“Pillola abortiva: la Giunta regionale dell’Umbria non rispetta le indicazioni: la liberalizzazione della somministrazione della RU486 in regime di day hospital ha l’obiettivo di sgravare il costo degli interventi chirurgici e dei posti letto e lascia, sostanzialmente, la donna in uno stato di solitudine psicologica”. A sollevare il caso è il consigliere regionale Sergio De Vincenzi che ha presentato una interrogazione all’assessore Luca Barberini puntando il dito contro la presidente Catiuscia Marini.

“La giunta Marini, con la delibera 1417 del 4 dicembre 2018, dà mandato alle ASL e alle Aziende Ospedaliere regionali di applicare in tutte le sedi che effettuano interruzione volontaria di gravidanza chirurgica anche l’opzione farmacologica – cioè la pillola abortiva RU486 mg 600 seguita da prostaglandine – sia in regime di ricovero ospedaliero ordinario che in day hospital, secondo il “percorso assistenziale deliberato con DGR 863/2011”. La procedura di aborto farmacologico inizia con la somministrazione del mifepristone, noto come Ru486 e prosegue con la somministrazione a 48 ore di distanza di misoprostolo (prostaglandine) e termina con la verifica dell’avvenuta espulsione dell’embrione, e un ricovero in day hospital non esclude che tale espulsione possa avvenire al di fuori delle strutture ospedaliere, mettendo seriamente a rischio la salute della donna. Durante le sperimentazioni degli ultimi venti anni sono sorti numerosi criteri clinici e non clinici che ostano all’impiego del metodo farmacologico (Ministero della Salute – Linee di indirizzo sulla IVG con mifepristone e prostaglandine) in regime diverso dal ricovero ordinario afferma De Vincenzi -. Già il Consiglio Superiore di Sanità (CSS) nel 2004, affermò che “i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti all’interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero” a causa della “non prevedibilità del momento in cui avviene l’aborto” e del “rispetto della legislazione vigente che prevede che l’aborto avvenga in ambito ospedaliero”. Così come nel 2010 il Ministero della Salute, ha adottato le “linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”, elaborate da una specifica commissione tecnica, che afferma: “L’atto farmacologico si articola in un percorso temporale piuttosto lungo, quasi mai inferiore ai tre; vi sono implicazioni estremamente importanti dal punto di vista psicologico sulla donna che ha deciso di seguire questo difficile e doloroso percorso.” E che “si rende necessario ed essenziale il consenso informato, consenso pienamente informato, chiaro e in equivoco avente la finalità di rendere la donna pienamente consapevole delle sue scelte e valutazioni””.

“La delibera di giunta 1417, è evidente, stralcia questi autorevoli pareri che sono stati riposti bellamente nel cestino – chiude De Vincenzi -. La liberalizzazione della somministrazione della RU486 in regime di day hospital ha l’obiettivo di sgravare il costo degli interventi chirurgici e dei posti letto e lascia, sostanzialmente, la donna in uno stato di solitudine psicologica. Senza contare l’eventualità del danno biologico – vista la concreta possibilità di emorragie date dall’espulsione del feto fra le pareti domestiche – del quale non è chiaro chi se ne dovrebbe far carico (se l’ASL o la struttura ospedaliera di riferimento). Per questo motivo ho presentato un’interrogazione alla giunta regionale per capire sulla base dell’operato di quale organismo scientifico, e soprattutto di quali elementi scientifici addizionali, il nostro governo regionale abbia stabilito che i pareri del CSS e le linee di indirizzo ministeriali potessero essere superabili al punto di considerare estendibile l’impiego della RU486 anche in regime di day hospital nonostante il potenziale rischio per la salute della donna. In tutto questo restano le parole crude, ma realistiche, del dott. Patrizio Angelozzi, primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Santa Maria della Stella di Orvieto, che assieme all’ospedale di Narni era stata scelta come struttura abilitata alla sperimentazione della RU486, che ha avuto modo di affermare agli organi di stampa locale che: “l’aborto fatto in solitudine e senza sostegno può essere considerato come una forma di femminicidio”. Con tanti saluti ai diritti delle donne sbandierati dal Pd”.