Ping pong Camera-Senato, a che gioco gioca il Pd sul Codice Antimafia
07 Luglio 2017
Con 129 si, 56 no e 30 astenuti è stato approvato ieri al Senato il nuovo Codice Antimafia. Il Pd esulta. Rosy Bindi si dice “contenta” perché “la riforma è attesa da troppo tempo, necessaria e nel complesso ben fatta”. Il Gurdasigilli Orlando prova guardare avanti: “Credo che ci siano le condizioni per portarla fino in fondo”. Tutti felici e contenti, insomma. Ma, al di là delle dichiarazioni celebrative di rito, in realtà c’è poco da festeggiare.
E il perché è sotto gli occhi di tutti. Sul provvedimento appena approvato, infatti, pesano ancora come macigni i giudizi negativi espressi nei giorni scorsi da gente del calibro di Raffaele Cantone, presidente dell’autorità per l’anticorruzione, da presidenti emeriti della Consulta come Cesare Mirabelli, Giuseppe Tesauro e Giovanni Maria Flick, oppure da giuristi come Sabino Cassese e, non da ultimo, dal primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio. Insomma, non proprio sprovveduti del settore (che, tra l’altro, non sono stati nemmeno convocati preliminarmente – vedi Cantone – per dare il loro contributo durante i lavori della commissione).
Il punto più controverso nei confronti del quale questi ed altri esperti della materia hanno chiesto di “prestare estrema attenzione” è l’estensione di confische e sequestri di patrimoni agli imputati di reati contro la Pubblica amministrazione, dalla corruzione al peculato. In pratica, la norma prevede di rendere ordinarie alcune misure preventive applicate per combattere la criminalità di stampo mafioso. Ma è proprio qui che casca l’asino, poiché tali misure previste dalla legislazione antimafia sono rivestite di eccezionalità perché utilizzate per combattere un fenomeno eccezionale come la mafia. Ed è proprio per questo suo carattere “straordinario” che tale apparato normativo di prevenzione è stato tacitamente accolto dalla Corte Costituzionale e dalle corti europee in quanto, altrimenti, andrebbe a cozzare con i principi fondamentali (dato che si infligge una sanzione prima che si celebri il processo).
In più, come segnala il neo-procuratore della Repubblica di Messina Maurizio De Lucia, se si pensa che l’attuale sistema di prevenzione, in alcuni casi, già oggi è applicabile non solo ai mafiosi ma anche ai corrotti e ai grandi evasori, si comprende ancora meglio perché il provvedimento “non è né utile, né opportuno e rischia persino di essere controproducente” come ha sottolineato Cantone. Ed il perché è presto detto: come hanno evidenziato, in un modo o nell’altro, Mirabelli, Tesauro e Flick, estendere all’ordinario uno strumento straordinario come quello della prevenzione comporta addirittura il rischio di delegittimare e rendere incostituzionale l’intero impianto normativo, facendo decadere in questo modo uno strumento fondamentale per la lotta alla mafia, già in uso con successo.
Un autogol pazzesco, dunque. Ma il Pd non ha voluto sentire ragioni. Anzi, ha anche accusato le opposizioni di aver sollevato in ritardo queste obiezioni, quando invece, in Commissione, tutti gli emendamenti presentati proprio per correggere il tiro, come quelli del senatore di Idea Carlo Giovanardi, sono stati prontamente bocciati dalla maggioranza Dem. Per cui, noncurante dei richiami degli esperti e della richiesta di chi come Gaetano Quagliariello, senatore e leader di Idea, aveva chiesto di rinviare il provvedimento in Commissione al Senato per apportare la dovute modifiche e per poi trasmetterlo corretto alla Camera, i democratici hanno accelerato l’approvazione del provvedimento. Atteggiamento, quello del Pd, che diventa ancora più incomprensibile se si legge quanto affermato da Matteo Orfini: “Le sollecitazioni di Cantone sul codice antimafia meritano di essere approfondite. Lo faremo appena il testo tornerà alla Camera”. Alla Camera? E perché non fare le dovute correzioni al Senato? O forse dovremmo iniziare a pensare che c’è qualcuno a cui questo provvedimento proprio non va giù?
Anche perché, facendo due calcoli, il testo, una volta modificato dalla Camera, dovrà tornare al Senato e dato che mancano praticamente 7-8 mesi alla fine della legislatura e il calendario parlamentare è già sin troppo ingolfato (si pensi solo che c’è da approvare ancora la legge elettorale), le possibilità a cui ci si troverà di fronte sono a dir poco pericolose: approvare la legge così com’è, sbagliata e con tutti i rischi connessi, oppure, cosa più realistica, affossarla perché non ci sarebbe il tempo per altre due letture parlamentari. Per cui stando così le cose, da festeggiare c’è veramente ben poco.