Piovene racconta l’Italia del “boom”, che cambia da un chilometro all’altro
25 Maggio 2016
Ci sono autori la cui fama è legata indissolubilmente a un singolo libro. Un libro, talvolta, nato più per caso che per scelta. Il nome di Guido Piovene, ad esempio, sarà per sempre associato a quel Viaggio in Italia che – sul finire degli anni Cinquanta – diviene la più celebre guida letteraria al Bel Paese del dopoguerra. Poco importa, allora, che Piovene sia anche l’autore di un romanzo di grande successo (e qualità) come “Lettere di una novizia”, uscito con grande enfasi nell’Italia del 1941. Per gli italiani è e resta lo scrittore-reporter di un lungo e affascinante Viaggio in Italia.
L’importanza di questo atipico “reportage letterario” all’interno della più vasta produzione dell’autore è chiara sin dalla sua apparizione. Indro Montanelli, ad esempio, riconosce che Guido Piovene “è stato uno dei pochi grandi scrittori del Novecento italiano”, sottolineando però subito che “un saggio sull’Italia come il suo ‘Viaggio in Italia’ non lo scriverà mai più nessuno”. E non è forse un caso che la sua opera immortale sia più vicina al reportage che alla pura narrativa: l’esordio di Piovene, nel bel mezzo dell’Italia fascista, è segnato infatti dal giornalismo, in qualità di inviato e corrispondente per “L’Ambrosiano” e il “Corriere della Sera”.
È sotto il fascismo che, accanto alla vena letteraria, nasce in Piovene l’amore per il viaggio. “Viaggio in Italia”, del resto, non è un unicum nella carriera dell’autore: senza contare le corrispondenze dall’estero (Londra e Parigi), prima di dare alle stampe la sua opera più famosa pubblica – siamo nel 1953 – un libro intitolato De America, frutto di un viaggio di 32 mila chilometri attraverso 38 Stati. Come molti illustri colleghi – Borgese e Soldati su tutti – Guido Piovene va alla scoperta delle meraviglie d’oltreoceano: una grandezza che lo porta a scrivere, nell’opera dedicata agli States, che “viaggiare dovrebbe essere sempre un atto di umiltà”. Una piccola lezione per tutti i reporter.
Sono la curiosità del giornalista e la sensibilità del letterato che spingono Piovene ad accettare l’offerta che porterà, di lì a poco, al suo libro più celebre. Nel 1953, la Rai – con una spiccata vocazione al “servizio pubblico” – è impegnata in una serie di progetti per favorire la conoscenza dell’Italia presso gli italiani: da qui la scelta di chiamare Guido Piovene, affermato scrittore e giornalista, perché percorra il Bel Paese da nord a sud, dalle “Tre Venezie” alla Sicilia. Piovene accetta: per tre anni percorre lo Stivale e racconta agli ascoltatori le “cose viste”. I tempi della radio, però, sono stretti: manca, al letterato, lo spazio per dare voce a gran parte delle sue riflessioni.
Da qui l’idea di scrivere un libro: sull’onda delle trasmissioni radiofoniche, “Viaggio in Italia” – uscito per Mondadori nel 1957 – è subito un successo. “Mentre percorrevo l’Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle”: una sensazione molto lucida, se è vero che l’Italia descritta – quella della seconda metà degli anni Cinquanta – è il Paese del boom economico, dell’industrializzazione e della crescita urbana. “Industrie si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province”: impossibile, dunque, tenere aggiornato il proprio diario. “Decisi perciò di lasciare quelle pagine come stavano”: un formidabile ritratto dell’Italia, nella sua fase di passaggio alla contemporaneità.
Raccontare il “Viaggio in Italia” è un’impresa titanica. Nella sua ultima “incarnazione”, Baldini Castoldi Dalai 2003, il libro conta più di 900 pagine: basti questo per farsi un’idea della ricchezza dell’opera di Piovene. Dentro il viaggio c’è davvero tutto: dai paesaggi ai musei, dalle chiese ai ristoranti, dagli uomini ai bambini, dai campi alle industrie. “L’Italia” scrive l’autore “cambia da un chilometro all’altro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità degli animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitudini, tradizioni, lingue, eredità razziali”. Nel “Viaggio”, insomma, c’è tutta la sua patria: pochi, credo, hanno seguito Piovene pagina dopo pagina; molti, però, hanno visto nell’opera una formidabile guida da consultazione. Forse la miglior guida mai scritta sul Bel Paese.
Al di là delle singole tappe – di particolare bellezza le pagine dedicate a Vicenza e al vicentino, dove il viaggio dell’autore si confonde con i ricordi personali – Guido Piovene dà una lettura dei caratteri italici di grande modernità. “In nessun altro paese” scrive ad esempio Piovene “sarebbe permesso assalire come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno”. O ancora, riguardo alla “diatriba anacronistica tra i clericali ed i laicisti”: “Per essa tanta parte dell’intelligenza italiana è costretta a sprecarsi in vacuo su questioni che altrove sono già risolte da un pezzo”. Parole del 1957, che non stonerebbero però in bocca ad un sociologo contemporaneo: se si tratti di preveggenza dell’autore o di immobilità del Paese, lo lasciamo alle considerazioni del lettore.
Ricordando Piovene, tra la sua passione per il gioco e le sue doti intellettuali, Montanelli ha sostenuto che nessuno scriverà più un libro simile. È vero: ci vorrebbe troppo tempo, troppa perseveranza e – perché no – troppi soldi. “Viaggio in Italia”, forse, è destinato ad essere letto e riletto anche dalle generazioni che seguiranno. E per avere una prova tangibile del suo radicamento, del resto, basta fare un giro su internet: non si contano le pagine di enti turistici, regionali e comunali, che per promuovere il proprio territorio hanno scelto di aprire con un estratto dal “Viaggio in Italia”. Per i luoghi toccati dalla sua penna, le parole di Piovene sono già un marchio di qualità.
[Pubblicato il 14 giugno 2009]