Più aborti e più suicidi: il triste primato mondiale della (fredda) Groenlandia

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Più aborti e più suicidi: il triste primato mondiale della (fredda) Groenlandia

18 Dicembre 2018

E’ l’isola più grande del mondo, la Groenlandia, situata agli estremi confini della Terra e più precisamente a nord del circolo polare artico, ed è anche il Paese con la minor densità di popolazione: 0,03 abitanti per km², su una popolazione totale di circa 56.000 anime.  A far notizia però non sono i suoi paesaggi suggestivi, le aurore boreali o i fiordi ghiacciati, bensì un drammatico primato mondiale: il maggior tasso di suicidi e di aborti. Da decenni la percentuale dei suicidi in Groenlandia è tra le più alte al mondo e il ministro della Salute groenlandese Martha Abelsen rilancia la sua preoccupazione per un fenomeno che è diventato ormai culturale e strutturale, e su cui il Governo non ha abbastanza risorse da investire per farvi fronte. Per avere un quadro più completo del fenomeno, si pensi che tra il 2013 e il 2017 la media annuale del tasso di suicidio in Groenlandia era di 75,1 per 100.000 abitanti, mentre in Lituania, seconda in classifica, era di 31,9 per 100.000 abitanti e in Svezia 13,7 nel 2016.

In base alle statistiche pubblicate a novembre 2018, il numero dei suicidi compiuti in Groenlandia nel 2017 è leggermente diminuito (41 persone suicide nel 2017, sei in meno rispetto al 2016), ma la polizia ha registrato un aumento di circa un terzo dei tentativi di suicidio e un incremento del 6% di minacce di suicidio, soprattutto tra i giovani, evidenziando così che il problema di fondo dei suicidi nell’isola rimane ancora irrisolto. Uno studio del 2015 della ricercatrice danese Christina Viskum Lytken Larsen rivela inoltre che circa la metà di coloro che si suicidano ha un’età compresa tra i 10 e i 30 anni.

Prima della modernizzazione in Groenlandia questo fenomeno era quasi sconosciuto. Negli anni ’60 solo un adolescente si suicidò, mentre negli anni ’70 la cifra salì a 17. Tra il 1970 e il 1980 il tasso quadruplicò diventando maggiore di 7 volte rispetto a quello degli Stati Uniti.  Nel 1985 i suicidi furono almeno 50 su una popolazione di appena 53.000 abitanti. Il suicidio in Groenlandia uccideva quindi più persone del cancro: in proporzione era come se in un anno negli Stati Uniti si fossero uccise più di 250.000 persone. Nonostante i dati allarmanti, il suicidio nella popolazione groenlandese è diventato un tabù all’interno della stessa comunità, nel silenzio della stampa e nella indifferenza generale della comunità internazionale. Sul piano geografico, la tendenza del fenomeno suicidario in Groenlandia è variata da un picco iniziale nella capitale Nuuk a un continuo aumento nelle zone remote della Groenlandia orientale e settentrionale, a un lento aumento nei villaggi rispetto alle città della costa occidentale, con un apice nella cittadina di Tasiilaq, sulla costa orientale e distante circa 600 km da Nuuk, che vanta il triste primato del tasso più alto di suicidi di qualsiasi altra città dell’isola nordica, più di 400 per 100.000 abitanti.

Desta allarme e preoccupazione anche un altro primato detenuto dalla Groenlandia, ovverosia la percentuale più alta di aborti al mondo. Nel 2012 il tasso di aborto in Groenlandia era di 53,4 aborti per 1000 donne (di età compresa fra i 15 e i 49 anni), mentre in Danimarca nello stesso anno era di 12,4. Dal 2006 al 2013 il numero degli aborti si è attestato intorno agli 800/900 all’anno e nel 2000 per la prima volta gli aborti hanno superato le nascite, con 944 aborti a fronte di 887 nascite. Flemming Stenz, membro del Consiglio Superiore della Sanità groenlandese, afferma che l’altissima percentuale di aborti in Groenlandia continua a rimanere costante, nonostante alcuni interventi da parte del Dipartimento della Sanità Pubblica per limitare il fenomeno, come per esempio la distribuzione della contraccezione gratuita o l’introduzione di programmi scolastici di educazione sessuale, considerati tuttavia insufficienti in base ai risultati. Le statistiche dimostrano infatti che in media una donna groenlandese ha compiuto 2,1 aborti procurati nell’arco della vita.

Il Governo autoctono e il Dipartimento della Salute groenlandese, il PAARISA, già nel 2003 si era proposto di ridurre il tasso di aborto del 50% entro i successivi cinque anni. Tale percentuale, invece, non solo non è stata ridotta, ma è addirittura aumentata e ancora oggi rappresenta uno dei più gravi problemi della società groenlandese. Persino le malattie sessualmente trasmissibili come gonorrea, clamidia e sifilide sono fortemente aumentate nell’isola, soprattutto fra i giovani (15-29 anni): basti pensare che si è passati da 0 casi di sifilide nel 2010 a un tasso di 85,3 per 100.000 abitanti nel 2014.

Nella società groenlandese anche l’alcolismo è dilagante, e i casi di violenza domestica e abusi sessuali su minori non sono rari. I problemi sociali sono comparsi all’inizio dagli anni ’50, da quando cioè il governo danese ha avviato un processo di modernizzazione di quella che era una sua colonia dal 1775. Alla popolazione groenlandese, che è etnicamente e culturalmente diversa da quella danese – loro sono i discendenti degli Inuit che un tempo vivevano di caccia alle renne e alle foche e di pesca – è stato imposto un cambiamento del proprio stile di vita ancestrale. Con l’insediamento danese, gli Inuit sono stati costretti dapprima a vivere in casette di legno e poi, dagli anni’50, gran parte della popolazione è stata trasferita dai villaggi alla capitale, in grigi appartamenti popolari, venendo loro proibito di fatto di poter vivere della loro tradizionale caccia e pesca. Sono cresciuti così la disoccupazione e i relativi problemi sociali connsessi come la depressione, l’alcolismo, i suicidi, gli aborti, la violenza domestica e l’aumento delle malattie mentali, che hanno stravolto la società dei groenlandesi, privata di quell’identità millenaria che un tempo la caratterizzava.

Secondo il governo danese la decisione di trasferire gli Inuit in contesti urbani aveva buone ragioni pratiche: era complicato garantire i servizi di base come l’assistenza sanitaria o la costruzione di scuole in ogni piccolo villaggio, mentre diventava facile in città, dove le infrastrutture di ospedali e scuole erano già costruite. La Danimarca continua ad essere per la Groenlandia fonte di sussidi economici, anche se diminuiti rispetto al passato, in particolar modo dopo l’approvazione del referendum del 2008, attraverso cui l’isola si è resa indipendente. La volontà di riaffermare la propria identità gli Inuit la espressero già nel 1983 quando, con un referendum, decisero di uscire dall’Unione Europea, principalmente per la disputa sulla regolarizzazione della pesca con Bruxelles, costituendo pertanto l’unico precedente della Brexit inglese. Per la verità i groenlandesi si erano già espressi nel 1972 con un referendum sull’adesione dell’allora CEE, con il 70% dei voti contrario all’entrata Comunità Economica Europea, ma poiché erano parte del Regno di Danimarca furono costretti ad aderirvi. Nonostante l’autogoverno, tuttavia, i problemi economici, ma soprattutto i gravissimi problemi sociali permangono e continuano ad affliggere l’antica popolazione della Groenlandia, abbandonata a sé stessa, il cui grido d’allarme sembra destinato a restare inascoltato.