Più che al secondo mandato Obama aspira a diventare un “guru globale”
25 Agosto 2010
di Toby Harnden
Quando David Plouffe, manager della campagna elettorale del 2008 del presidente Obama, ha scritto di recente che al suo ex capo “non interessa la rielezione” c’è stato un prevedibile scetticismo. Dopotutto, è ormai una verità incontestabile che ogni politico voglia aggrapparsi al potere ed è una realtà che le campagne elettorali vengano pianificate anni prima. Per di più, le tipiche affermazioni sulla scarsa importanza dei sondaggi e sul fatto che la cosa più importante è concentrarsi nel realizzare i propri obiettivi sono il prezzo normale da pagare per quei politici che in realtà sono ossessionati dalle elezioni e sono dipendenti dai sondaggi, così come lo sono i loro leali funzionari di partito.
In questo caso, però, Plouffe forse ha inavvertitamente intuito qualcosa. Quasi tutto ciò che Obama sta facendo di recente suggerisce che non gli interessa granché di essere nuovamente eletto. Anche se può sembrare strano, forse Obama vuole essere un presidente di un solo mandato. Obama è stato eletto nel 2008 in un momento straordinario della politica americana. All’improvviso questa carismatica figura che era entrata in Senato nel 2004 senza una vera opposizione e senza una qualche previa esperienza da dirigente si è trovato catapultato alla Casa Bianca.
L’intervento di Obama sulla questione della moschea a Ground Zero è un esempio emblematico. Non c’era nessuna necessità che il presidente si mettesse in mezzo visto che difficilmente verrà costruito il centro islamico a due isolati dal sito dell’11 Settembre e che non esiste alcun vantaggio politico nella sua presa di posizione. Ciò che il presidente americano ha detto sulla libertà religiosa è tipicamente “obamiano”: magnanimo, legalistico e basato su principi. Dopotutto è un ex professore di diritto costituzionale. Ma nelle sue parole è mancata ogni empatia reale con ciò che sentono davvero gli americani e non c’era alcuna traccia di considerazioni pratiche utili a risolvere il problema. Obama sembra indifferente al prezzo politico che dovrà pagare.
Senza alcun dubbio qualcuno gli ha consigliato di dimostrare che in realtà è “collegato” agli americani ordinari nel fare cose come per esempio andare in chiesa o prendersi delle “normali” vacanze. Obama però sembra felice di agire come un secolarista in stile europeo, facendo le vacanze a Martha’s Vineyard e mandando le sue figlie in una delle più esclusive scuole private degli Stati Uniti. Il presidente Obama non ha dubbi su se stesso. Per molto tempo è sembrato così convinto delle sue proprie virtù che dubitare delle sue motivazioni è illogico. Infatti, le sue affermazioni portano con sé sempre di più il tono di una persona che crede che coloro che non sono d’accordo con lui siano stupidi o bigotti.
La settimana scorsa, prima di partire per Martha’s Vineyard, Obama ha investito 3 giorni per la campagna elettorale per ottenere finanziamenti e sostenere i candidati democratici delle elezioni di mid-term. “Non arrendetevi alla paura – ha affermato a Milwaukee – Raggiungiamo la speranza”. Si tratta di un messaggio che ha funzionato una volta ma che difficilmente funzionerà ancora, con un’America in preda alla recessione, con una disoccupazione che si ostina a restare vicina al 10 per cento e con la solita retorica del “è tutta colpa di Bush” che si sta via via esaurendo.
Nonostante tutto, Obama sembra essere a suo agio in queste circostanze. Si ritrova una folla che pende da ogni sua parola e non deve avere a che fare con le infami realtà politiche o con dei discutibili oppositori. Forse per lui è semplicemente il ricordo di momenti più semplici della sua carriera. Ma potrebbe anche essere uno sguardo nel futuro. Per Obama, l’apice della sua presidenza sono stati i suoi discorsi all’estero: le sue dichiarazioni a Strasburgo sull’“arroganza e l’atteggiamento sprezzante” dell’America, il discorso rivolto al mondo musulmano dal Cairo e l’accettazione del premio Nobel per la Pace a Oslo.
Nel 2008 a Berlino Obama si è auto-assegnato il titolo di “cittadino del mondo”. A Strasburgo, ha rifiutato il fondamento della nozione di eccezionalismo americano descrivendolo come poco più di un patriottismo dalle vedute ristrette. L’opinione predominante tra l’elite liberale che proviene dall’Ivy League (associazione che comprende le 8 istituzioni private americane più influenti, tra cui la Columbia University, la Harvard University e la Yale University, ndt) è che stiamo già vivendo nel mondo post-americano. Ci sono davvero pochi americani che si considerano più importanti della presidenza e Obama potrebbe facilmente essere uno di questi. Nel 2008, l’attuale presidente Usa ha mostrato poco appetito per gli spregiudicati aspetti del fare campagna politica.
Quando le cose iniziarono a complicarsi nella competizione con Hillary Clinton, Obama ha fatto tutto tranne che concedere le primarie democratiche e ha fatto in modo che il tempo scadesse. Contro John McCain, l’allora senatore dell’Illinois sviluppò un piano per la campagna elettorale e si rifiutò di discostarsi da esso. Quando l’economia americana stava implodendo, nei sondaggi McCain era allo stesso livello rispetto a Obama che però ottenne una vittoria relativamente confortevole.
Obama è il primo presidente americano di colore, un autore riconosciuto, un multimilionario e una figura acclamata anche fuori dagli Stati Uniti. E’ davvero molto difficile che Obama non decida di correre per le elezioni del 2012. Ma forse sta calcolando che assumere un ruolo post-presidenziale come pensatore globale più importante nell’era post-americana proprio mentre un successore repubblicano prende il suo posto sia più attraente che macchiarsi a causa dei compromessi e delle manovre politiche necessarie per vincere.
Tratto dal Telegraph©
Traduzione di Fabrizia B. Maggi