Più di qualche dubbio sul ruolo della sharia nella nuova Libia
29 Agosto 2011
di Andrea Doria
Se fosse vero, non c’è da stare allegri. Una delle paure più silenziate, non dette (e se dette, cancellate in fretta dalla memoria del dibattito di questi ultimi mesi di guerra libica) è quella di un passaggio da una Libia guidata dal crudele “amministratore delegato” laico della multinazionale del petrolio libico, Muammar Gheddafi & famiglia, a una repubblica libica islamica, se non islamista. Dopo i timori della prima ora, ora si può purtroppo iniziare a ragionare su qualcosa di concreto. In primis perché ormai i ribelli di Bengasi governano la Libia; e in secondo luogo, proprio per questo, quella bozza di costituzione di meno di 40 articoli (37 per essere precisi) che da qualche mese circola sul web "splende" di una luce tutta nuova. E’ come se fosse avvenuto uno slittamento dal “e se…” al “adesso che…”. Fintantoché i ribelli se ne stavano a Bengasi e a Tripoli sbraitava ancora il vecchio dittatore con i suoi figli al seguito, la bozza non ha destato particolare attenzione nell’opinione pubblica europea.
Adesso che invece il “blob” politico e militare dei ribelli di Bengasi ha marzialmente traslocato a Tripoli, adesso che viaggia per capitali europee, adesso che parla a nome del popolo libico, adesso che pensa al futuro e agisce per il futuro, quella bozza di carta costituzionale acquisisce una decisiva importanza. “La Libia è uno stato indipendente e democratico dove il popolo è la fonte dell’autorità. Tripoli è la capitale dello stato. L’islam è la religione di Stato e la legge islamica (sharia) è la principale fonte del diritto“, si legge all’articolo 1 del documento in circolazione. Un primo articolo che così si chiude: “… Lo stato garantirà la libertà di professare la propria religione ai non-musulmani e garantirà il rispetto del loro status giuridico personale”. In altre parole, a pensar male, la "dhimmitudine".
Si dica subito che di certezza sul fatto che il testo in circolazione sia la futura costituzione libica o che – una volta iniziato il “processo costituente” e ammesso che questo concetto abbia un qualche significato in un paese come la Libia governato da 41 anni col solo ausilio del ‘libretto verde’ gheddafiano – essa costituisca base di partenza per le negoziazioni politiche tra i gruppi politici vincitori, di tale certezza non ve n’è proprio traccia. Ora se di islamismo si deve parlare per la Libia, dobbiamo riferirci all’unico rilevante precedente storico moderno: la dura repressione contro il Al-Jama’a al-Islamiyyah al-Muqatilah bi-Libya, ovvero il gruppo armato islamista libico che il regime gheddafiano debello’ negli anni novanta.
Sarebbe arduo darne conto in poche righe (per saperne di più invitiamo però alla lettura di questo articolo dell’8 Marzo scorso del ricercatore del Carnagie Endowment, Christopher Boucek). Diremo però che di islamisti in Libia ce ne sono stati tanti e non è da escludere ve ne siano ancora molti. Il gruppo nacque alla metà degli anni novanta, e si conta che almeno 1000 tra i suoi affiliati si siano addestrati nell’Afghanistan talebano filo qaedista. Si dirà anche che di libici in Iraq, durante il jihad contro gli americani, ve ne fossero in numero cospicuo. E ricorderemo infine che molti di essi marcivano nelle patrie galere libiche, perché sostanzialmente perseguitati dal regime di Gheddafi (benché il regime e in particolare il figlio del raìs, Saif, avesse dato vita a un processo di riabilitazione per islamisti armati e simpatizzanti).
Ora, durante il conflitto le celle delle galere sono state progressivamente aperte e non solo dalle forze ribelli. Il conflitto ha portato un’amnistia di fatto. Molti avranno senz’altro imbracciato le armi contro il nemico Muammar Gheddafi, uno di quegli “empi dittatori" di cui nelle sue profusioni scritte parlava il consumatore di pornografia ucciso dai Navy Seals ad Abbottabad, Osama bin Laden.
Non sappiamo che ruolo giocheranno gli islamisti e quanto peseranno politicamente sul futuro della cosiddetta "Nuova Libia". Sappiamo che sono tanti e che verosimilmente siano armati; possiamo affermare già che di sponde non laiche (magari non talebane ma certo non secolarizzate all’europea) ce ne sono molte in Libia, a partire dal presidente del consiglio nazionale di transizione, Abdel Jalil, col suo “bernoccolo devoto”, arrivando fino al capo del supremo consiglio militare del CNT, Abdel Hakim Bel Haj, noto per i suoi legami con la Fratellanza Musulmana. Il riferimento politico al verbo coranico avrà certamente peso sempre maggiore di quanto non lo avesse sotto Muammar Gheddafi. Quel che ci piacerebbe sapere è di che morte moriremo, visto che tra il "laggiù" della Libia e il "qui" dell’Italia stanno solo poche miglia marine. La Libia sarà repubblica islamica? Se sì (esito che appare sempre più ineluttabile), lo sarà su modello marocchino o su modello iraniano? Non ci resta che attendere e sospirare: "God knows", solo Dio lo sa.