Poche storie, Paolo Villaggio è un genio

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Poche storie, Paolo Villaggio è un genio

30 Dicembre 2012

Prima d’esser pellicola – meglio, pellicole – di grandissimo successo, ‘Fantozzi’ è un libro pubblicato da Rizzoli nell’estate del 1971. Un libro che andrebbe inserito di diritto nel pantheon di ogni malato di lettura che si rispetti. Non solo Fantozzi, però. Paolo Villlaggio, nel tempo, s’è reso autore di scritti meravigliosi, di una comicità feroce, cinica e amara. Di una comicità degna di un genio rarissimo. Del genio di un grande intellettuale. Domenica 30 dicembre 2012, Il Nostro compie 80 anni. Ergo, non resta che rendere onore a chi, nella sua lunga carriera, ha meritoriamente – eufemismo – creato il personaggio di Ugo Fantozzi e, prima ancora, di Giandomenico Fracchia, apparso per la prima volta sul piccolo schermo a Quelli della domenica del 1968.

Ineludibile, poi, il tema dell’assoluta attualità dei due personaggi. A chi scrive, nel corso di un umido sabato sera di fine dicembre, è capitato per puro caso di assistere a una puntata di una famosa serie televisiva: Masterchef, su Sky. Ecco, quel programma non rappresenta altro se non la nemesi delle geniali intuizioni di Villaggio. Presto detto, il motivo: Masterchef è una gara di cucina all’ultimo sangue tra dilettanti assoluti e allo sbaraglio. In giuria, tre giudici di una crudeltà inaudita, intenti più che mai a umiliare i poveri malcapitati cucinieri, letteralmente prostrati di fronte ai loro tremendi verdetti. Perché non sia mai, addentare un filetto alla Rossini "poco cotto" o assaporare un semifreddo alla nocciola "slegato" condurrebbe i concorrenti verso il baratro delle umiliazioni più atroci.

Un po’ quanto accaduto negli anni al povero Fantozzi, alle prese con le angherie del Duca Conte Semenzara al casinò di Montecarlo o agli abusi di chi, come Guidobaldo Maria Riccardelli, lo costringeva – pena il licenziamento immediato – alla visione di immortali capolavori della storia del cinema del calibro di Dies Irae, L’Uomo di Aran e il più “classico dei classici”, La Corazzata Potemkin del maestro Sergej M. Ejzenštejn. Una Corazzata ribattezzata dal Ragioniere, in un sussulto di dignità e coraggio, alla stregua di “boiata pazzesca”.

Villaggio aveva compreso appieno quanto gli ‘inferiori’ – sia essi volti a destreggiarsi in una cucina di un format televisivo, sia in un ufficio sinistri di una qualunque ‘megaditta’ – dovessero essere rappresentati in tutta la loro tragicità. Quanto fossero parte integrante del tessuto socio-economico del paese e quanto, occorre dirlo, fossero in ognuno di noi. In altre parole, mai nessuno come Villaggio è riuscito a raccontare quella fetta di paese reale e a raccontarlo con quell’acume, quell’intelligenza e quella finezza di stile.

Ironia e autoironia, insomma. “Molto snob”, si legge in una delle sue – tante – biografie. Nonché “figlio di padre ricchissimo, per questo a sinistra del partito comunista cinese”. Inoltre, “fondatore con un gruppo di nobili di una frangia politica di estrema sinistra molto ‘in’ di nome ‘POTEVE OPEVAIO’”. E ancora, a dir poco sublime la sua meravigliosa descrizione dei capalbiesi (intesi che assidui frequentatori di Capalbio), gli intellettuali di sinistra – mescolatisi nel tempo con gli allevatori di bestiame originari – che “parlano una lingua strana, si vestono rigorosamente di lino bianco e con dei candidi golfini di cachemire annodati in vita, con Il Manifesto o l’Unità sotto braccio, che i locali credono scritti in turco”. Perché “ogni tribù veste i costumi nazionali, gli indiani da indiani, i Masai da Masai e i capalbiesi di lino bianco”. Geniale.

Occorrerebbe scriverne per ore, di Paolo Villaggio. Così può bastare, tuttavia. Anzi, ci perdoni se non siamo riusciti a resistere dalla tentazione di scrivere queste poche righe. “I suoi cari inferiori” le augurano con reverenza buon compleanno.