Pochi soldi e tanti marescialli: si difende così il paese?

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Pochi soldi e tanti marescialli: si difende così il paese?

15 Novembre 2008

Finalmente il bubbone è scoppiato e la questione è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica. Dopo anni di mazzate, tagli e ridimensionamenti, in Italia ci si è posti il problema di iniziare a chiedere di meno alle Forze Armate. Un bel risultato. Reso però possibile solo dalla sensazione di essere arrivati al punto di non ritorno. Se vogliamo un paradosso, proprio nel bel mezzo delle sfarzose celebrazioni “quattronovembrine” e del nuovo impegno sul fronte interno, questo sì veramente asimmetrico, della lotta alla monnezza e ai casalesi. Ma così è la vita. In Italia su certi argomenti, la Difesa è uno di questi, da sempre governa la spensieratezza. Un tic, assolutamente bipartisan, per cui alle Forze Armate si chiede tanto – spedendole pressoché ovunque e molte volte a fare tutto tranne la guerra – ma si toglie troppo.

L’elenco dei teatri in cui negli ultimi anni sono stati e sono impegnati i nostri militari è sterminato: dalle avventure, tutta immagine e poca sostanza, di Timor Est e del Sudan, all’ultradecennale presenza nei Balcani – teatro dimenticato dove sono impegnati ancora oltre 2.500 militari italiani – all’Afghanistan, all’Iraq. E poi subito tutti in Libano, appena levate le tende dalle sabbie di Di Qar. Ma a questo impegno costante non è corrisposto un adeguato riconoscimento in sede di allocazione finanziaria. Non ci riferiamo tanto agli stipendi, visto che quasi il 70% del bilancio della Difesa è assorbito anche quest’anno dalle spese per il personale, quanto piuttosto alle spese di esercizio. Siamo all’emergenza. Lo dicono i numeri: un miliardo e mezzo di euro scarso a fronte dei quasi quattro miliardi del 2003. Più che un’emergenza, una sciagura. L’esercizio è la vera linfa di uno strumento militare: esercizio significa infatti addestramento – ore di volo per piloti, esercitazioni, ore di navigazione per le navi – e manutenzione dei mezzi – pezzi di ricambio, modifiche, carburante. Cose che all’opinione pubblica possono sembrare banali ma che, nella realtà, cambiano lo stato delle cose: decidono guerre e salvano vite. Con questo livello di risorse non è più possibile assicurare un’adeguata efficienza al nostro strumento militare. Lo si sapeva anche prima. Oggi finalmente ne ha preso atto anche la Politica. Che da sempre chiede, chiede, ma che in cambio toglie.

Mentre concerti e filarmoniche impazzavano in Piazza del Popolo, il capo di stato maggiore dell’Esercito Castagnetti disegnava un quadro a tinte fosche di fronte alla Commissione Difesa del Senato. “Per il 2009 sarà possibile garantire un adeguato livello di preparazione solo ai contingenti di previsto impiego all’estero; per tutte le altre unità dell’Esercito non potrà essere svolta alcuna attività preparatoria/addestrativa, comprese quelle chiamate a svolgere in Patria i compiti discendenti dalle operazioni Strade Sicure e Strade Pulite". Allora, se il quadro è questo – e non abbiamo timore di dubitare di una persona seria come Castagnetti – viene spontaneo fare il classico delle due l’una: o si richiama una parte dei nostri dall’Afghanistan o dal Libano, o lo si fa con i Parà in Campania e nelle altre città italiane. A qualcuno potrà anche dispiacere, ma francamente ci pare migliore la seconda ipotesi. Se non altro perché in Italia ci sono mezzo milione tra finanzieri, vigili, poliziotti, carabinieri ecc. Un numero che non ha eguali in Europa e consentirebbe, se solo lo si volesse, di riportare sotto controllo rioni e strade invase da criminalità e rifiuti. Si farebbe un bel sevizio all’efficienza e ai cittadini, e anche alle Forze Armate che potrebbero così tornare a presidiare i loro fronti “naturali”. Ma queste sono solo preferenze assolutamente personali che non contano niente.

Quello che conta è la coerenza tra ambizioni e risorse. Che in questo Paese sembra essere merce rara. Prendiamo, per esempio, la partecipazione ai vari comandi e formazioni multinazionali. L’Italia è un centometrista. Sempre la prima del gruppo a scattare e a mettere a disposizione strutture, uomini e risorse. A farsi bella offrendo tutto l’offribile. Ai nostri politici piace tremendamente. Fa chic nelle cene di gala dei vertici internazionali. E magari citano anche i bersaglieri in Crimea. Soltanto che Cavour ne ricavò benefici, veri, e non solo buffetti e pacche sulle spalle. Meglio, allora, se i soldi son questi, iniziare a stabilire delle priorità.

Tuttavia non tutto il male vien per nuocere e l’aspetto positivo è che dopo tanto si parla di “emergenza Difesa” alla luce del sole. Lo ha fatto in prima persona, e più volte, lo stesso presidente Napolitano. Ed il Ministero della Difesa si è adeguato decidendo di rimettere mano a tutta la sua organizzazione. La Russa ha già preannunciato che richiederà una specifica norma di delega legislativa per rivedere sia l’organizzazione del Ministero sia il modello di Difesa per dare ottemperanza a quel “Piano Pluriennale per la Difesa”, messo all’ordine del giorno nell’ultima riunione del Consiglio Supremo di Difesa il 2 ottobre scorso. Un qualcosa di molto simile al Libro Bianco francese, di recente presentato da Sarkozy, che dovrà servire a temperare, nell’immediato, l’impatto delle misure economiche previste dalla finanziaria, e a stabilire una cornice finanziaria certa per tutta la durata della legislatura, in un orizzonte di più lungo respiro.

Se ridimensionamento deve essere, che sia fatto allora con criterio. Il “Piano” potrebbe andare in questa direzione. Se veramente si cercherà di innovare e razionalizzare –  tagliando i rami secchi, i doppioni o i duplicati, vendendo finalmente sul serio gli immobili e gestendo in modo più efficiente i servizi – forse questa potrebbe essere anche una grande opportunità. Potrebbe costringere tutti, politici e forze armate, alla serietà, ad una benefica auto-disciplina: nel gestire, nello spendere e, soprattutto, nel richiedere.

Aspettiamo, dunque, un segnale. Il timore è che in un Paese come l’Italia – dove pericoli e trabocchetti sono sempre dietro l’angolo – non sarà così. Purtroppo, lo si è già visto. La legge 133 2008 prevede – confermando un trend consolidatosi negli ultimi due/tre anni – nuovi blocchi ai reclutamenti. Secondo il ministro La Russa, la semplice applicazione della legge potrebbe portare, nel settore del personale, ad un taglio delle risorse pari al 7% nel 2009 e al 40% nel 2010. Ciò determinerebbe, alla fine del 2012, una consistenza complessiva per le nostre Forze Armate di 141.000 unità. Con solo 45.000 volontari di truppa. E un esercito di marescialli.