Poletti e i papponi di Stato
18 Marzo 2008
di redazione
Oggi il quotidiano Libero celebra il coraggio e la virtù del signor Roberto Poletti, ex deputato dei Verdi non più ricandidato, tornato a fare il conduttore televisivo. Cosa ha fatto Poletti per guadagnarsi quattro pagine su Libero e un editoriale di Vittorio Feltri pieno di lodi e riconoscimenti?
Ha raccontato per filo e per segno i suoi due anni di privilegi nella tanto vituperata casta. Niente di nuovo in realtà: i dati sugli stipendi, le tesserine sconto, i pranzi sotto costo alla buvette, li conosciamo a memoria. Lui ci ha aggiunto il punto di vista personale, la noia delle sedute, il senso di futilità, l’idea di prendere un ricco stipendio a sbafo (20.000 euro per non fare niente ci dice) e l’impari lotta contro i pochi sensi di colpa di uno che gioca in due caste: giornalisti e parlamentari.
Anche questo già scritto e già letto. Resta però qualcosa di interessante nella lettura: più sul versante della confessione che su quello della denuncia. Poletti ci racconta di essere stato un deputato inutile e noi siamo propensi a credergli. E forse non solo per colpa sua (quella c’è e in abbondanza stando alle sue stesse parole) ma forse e soprattutto perché militava in un partito inutile come i Verdi e in un governo inutile come quello Prodi.
Oggi Libero lo esalta come il grande disvelatore di privilegi e soprusi, ma poi il titolo della sua lunga inchiesta è “Papponi di Stato” e Poletti, per quanto reo confesso, ricade appieno nella definizione. E gli ci vogliono cinque puntate per dimostrarlo.
Per una volta ci viene voglia di dire che non sono tutti come Poletti, non sono tutti “Papponi di Stato” e pagati per “non fare niente”. C’è anche qualcosa, qui e là, di meglio, c’è qualcuno che lo stipendio non lo ruba come Poletti, anche se Libero non gli fa la sviolinata.