Politica e magistratura, quante spine per Renzi
24 Giugno 2015
Ieri alla Camera le mozioni con cui si chiedevano le dimissioni del sottosegretario Castiglione sono state bocciate, e Castiglione sarà sentito oggi sulla questione del Cara di Mineo nella apposita Commissione di inchiesta. Il capogruppo Pd, Rosato, ha chiesto ai suoi che all’esponente di Ncd fosse riservato lo stesso trattamento usato per i sottosegretari del Pd indagati, a cui non è stato chiesto di dimettersi.
Intanto il senatore Azzollini è stato riascoltato dalla Giunta per le immunità, dopo aver consegnato la sua memoria difensiva e aver fatto ricorso al tribunale del riesame contro la richiesta di arresto formulata dalla procura di Trani. I dossier “bollenti” per Matteo Renzi si allungano: la vicenda Azzollini, De Luca in Campania, l’inchiesta Mafia Capitale e il destino del sindaco Marino.
Il caso Azzollini acquista un particolare rilievo perché crea fibrillazione nella maggioranza: il presidente del consiglio non può permettersi altri sgarbi rivolti a Ncd, il suo alleato di governo, e in questo caso si tratta di mandare in carcere una persona prima dell’eventuale condanna, dunque nella presunzione di innocenza. E abbiamo già visto in passato come l’arresto di un parlamentare possa anche influenzare il normale gioco democratico, alterando i numeri e quindi il rapporto tra maggioranza e opposizione.
Alla Leopolda del 2013, Renzi aveva sorpreso tutti parlando in questi termini del rapporto tra politica e magistratura: «La storia di Silvio ci dice che dobbiamo fare la riforma della giustizia,» un brivido nella schiena della gauche… «la storia di Silvio Scaglia», precisò subito dopo Matteo per calmare gli animi. La battuta fu anche un modo di sovrapporre la storia dell’ex ad di Fastweb, arrestato e poi assolto, a quella del nemico pubblico numero uno della sinistra mozzorecchi, Silvio Berlusconi.
A circa un anno di distanza, lo scossone: la Camera approva la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati; in mezzo la polemica sul taglio alle ferie (sempre dei magistrati). Qualcosa si muove, si fa, ma anche per Renzi scocca l’ora fatale, la magistratura che mette alle strette la politica.
Dopo la decisione presa dalla Corte Costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni, un’altra grana per il Governo potrebbe arrivare dalla sentenza della Consulta sullo sblocco dei contratti dei dipendenti pubblici. L’attivismo dei magistrati arriva dappertutto: persino sul riconoscimento dei matrimoni gay contratti all’estero, ci sono state sentenze come quella del Tar di Udine che hanno ristabilito la catena gerarchica tra Viminale e amministrazioni locali, ma per i tribunali non bastano i prefetti per cancellare le registrazioni, serve comunque il giudice. Insomma, non si muove foglia che il magistrato non voglia.
E ancora, la sinistra vince le primarie a Venezia con Casson (perdendo però le elezioni), De Magistris resta saldamente in sella a Napoli, Emiliano si è appena insediato in Regione Puglia, il presidente Grasso siede a Palazzo Madama. Tutti uomini politici che arrivano dalle fila della magistratura. Infine ci sono le indagini e le inchieste in corso.
Forse Renzi pensava di poter gestire in modo soft la questione politica-magistratura senza affrontarla di petto come invece aveva fatto Berlusconi, muovendosi lateralmente, utilizzando l’ambiguo criterio della “opportunità politica”, e decidendo di volta in volta chi doveva dimettersi e chi no. “Non chiedo le dimissioni sulla base di un’indagine, ma sulla base dell’opportunità politica”, è il ritornello del Premier. Così Maurizio Lupi, anche se non era indagato, si è dimesso; i sottosegretari del Pd, indagati, sono rimasti al proprio posto.
Ma ora che l’intervento dei magistrati si fa più pesante, Renzi con ogni probabilità si rende conto che rischia di restare imbrigliato, che la strategia seguita finora può rivelarsi illusoria. Tra le limitazioni imposte dalla Ue all’esterno e i vincoli interni dei giudici, in un contesto in cui la politica dispone di sempre meno risorse, il rischio di subire troppi condizionamenti si alza.
Se lo scenario è quello delle riforme costituzionali, crediamo allora che per Renzi sia giunto il momento di rovesciare il tavolo rimettendo ordine nella organizzazione dei poteri democratici, anche se riuscirci con la magistratura non sarà facile. Non perché contro di lui stiano marciando le “toghe rosse”, come le chiamavano negli anni Novanta.
Siamo davanti a un problema molto più ampio, un paradigma da cambiare, quel “partito dei giudici” che si è abituato ad andare avanti per conto suo triturando tutto ciò che incontra sul suo cammino, e alterando l’equilibrio tra i poteri dello stato. Ecco perché sulla vicenda Azzollini si gioca una partita importante: la politica è pronta rivendicare il proprio spazio o Renzi continuerà a illudersi di controllare la situazione attraverso il criterio della “opportunità politica”?