Politica estera USA: cosa (non) accadrà nel 2011
07 Gennaio 2011
Ben pochi avrebbero scommesso che nel 2010 il mondo sarebbe diventato meno pericoloso e imprevedibile. Certo, le operazioni militari americane in Iraq sono finite con successo, ma la Corea del Nord è diventata sempre più aggressiva (mentre la Cina se ne sta pigramente in disparte), il programma nucleare iraniano non è stato fermato (forse ritardato, grazie a un virus informatico), il Pakistan è sempre più problematico e il “processo di pace” in Medio Oriente è fallito. Cosa ci aspetta nel 2011?
Cliff May, presidente della Foundation for Defense of Democracies mi dice:“Non posso prevedere cosa accadrà nel 2011. Posso prevedere quello che non accadrà. Non finirà la guerra mossa all’Occidente dai jihadisti sciiti e sunniti, non ci sarà pace separata per Israele, non importa quanto il presidente Obama e/o gli israeliani la desiderino, non ci sarà alcuna dinamica ripresa economica in quelle nazioni che non incoraggiano l’imprenditorialità né ci saranno riforme nelle cronicamente corrotte e ironicamente denominate Nazioni Unite. E infine non verrà trovata la cura per il raffreddore”.
Per andare avanti con la visione del mondo “a speranza ridimensionata”, ecco quanto ci offre Daniel Gordis, vicepresidente senior dello Shalem Center:
“Bibi Netanyahu supererà ogni difficoltà e resterà in carica tutto l’anno. Le relazioni tra Stati Uniti e Israele, già in forma tutt’altro che buona, non miglioreranno di molto. Gilad Shalit, tragicamente, non sarà rilasciato e per questo a ogni Shabbath dovremmo avere del pane azzimo sulla tavola come promemoria simbolico della sua afflizione. Le relazioni tra Israele e la Turchia non si faranno più cordiali in maniera significativa. Nel 2011 Israele non attaccherà l’Iran (anche se spero di sbagliarmi), e tuttavia altri esperti iraniani moriranno misteriosamente e altre difficoltà colpiranno il loro sistema. Neanche gli Stati Uniti attaccheranno l’Iran, né le sanzioni verranno inasprite significativamente. L’Occidente continuerà a dimostrare il proprio fallimento morale e rinuncerà responsabilmente a proteggere le libertà a cui non siamo disposti a rinunciare ma che siamo troppo codardi per difendere combattendo davvero”.
Su una chiave più ottimistica Ileana Ros-Lehtinen, prossimo presidente della commissione Affari esteri della Camera, afferma: “Ogni Capodanno diciamo: ‘Il prossimo anno all’Avana!’ Un giorno SARA’ vero!”.
Quel che sappiamo di sicuro è che, nonostante Obama non voglia essere un presidente da tempo di guerra (né sprecare tempo e risorse in politica estera), egli – come tutti i presidenti – non può sottrarsi alle pretese che il mondo ha nei confronti dell’unica superpotenza mondiale. E mentre i piani strampalati di Obama (l’impegno in Iran, l’impegno in Siria, l’ossessione per gli insediamenti israeliani) si afflosciano, possiamo solo sperare che egli adotti una visione del mondo più sobria e faccia propria la parte migliore dell’approccio del suo predecessore (determinazione a prevalere nella guerra contro i jihadisti islamici e a migliorare le relazioni con gli alleati tradizionali, impegno per la promozione della democrazia e per la difesa dei diritti umani).
© Washington Post
Traduzione Andrea Di Nino