Polveriera Pd, da Nord a Sud riscoppia la guerra contro Renzi (e la Boschi)

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Polveriera Pd, da Nord a Sud riscoppia la guerra contro Renzi (e la Boschi)

21 Febbraio 2018

Nemmeno il tempo di sapere i risultati del 4 marzo, che nel Pd si è aperta sin da ora la Grande Guerra contro Matteo Renzi. Dalle Dolomiti all’Etna, verrebbe da dire. E si perché è notizia di ieri che 14 componenti del Pd altoatesino, espressione della minoranza che fa riferimento al presidente del Consiglio provinciale Roberto Bizzo, hanno annunciato la loro uscita dal Partito Democratico. Motivo? La candidatura “imposta dall’alto” di Maria Elena Boschi (toscana) e Gianclaudio Bressa (veneto) nel collegio Bolzano-Bassa Atesina. Non proprio due del territorio, dunque. Ai piddini altoatesini a quanto pare non sono bastate le comparsate della neo-sudtirolen Maria Elena in quel di Bolzano per addolcire il boccone indigesto. E così, in piena campagna elettorale, consumano la frattura. Ma quello sudtirolese non è assolutamente un caso isolato.

A Palermo alcuni esponenti di spicco dei Dem locali hanno creato addirittura una corrente alternativa e critica nei confronti del Nazareno: i Partigiani Pd, questo il loro nome. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Sempre Maria Elena Boschi. La rivolta siciliana è deflagrata proprio in seguito alla candidatura dell’ex ministro delle Riforme come capolista Pd in ben tre collegi siciliani.

Ma i focolai antirenziani non finiscono qui. A Napoli, la segretaria dei giovani Dem ha rassegnato le dimissioni dopo l’esplosione del caso rifiuti che ha coinvolto direttamente il secondo figlio del governatore De Luca, vicino a Renzi. A Taranto addirittura si è arrivati ad occupare la sezione per protestare contro i baresi “paracadutati” da Roma nel Sud della Puglia. Per non parlare di Bologna, storica roccaforte rossa, dove i piddini locali non hanno certo accolto di buon grado la candidatura di Pierferdinando Casini, uno che è passato in un batter d’occhio dalla Casa delle Libertà con Berlusconi alla Casa del Popolo con Renzi. Tant’è che gli ultimi sondaggi su Bologna diffusi prima del “grande silenzio”, fotografavano un Pd in difficoltà, incalzato dagli sciossionisti di Leu che, nel collegio di Casini, hanno schierato Errani, un “compagno” vero.   

Se a tutto questo si aggiungono i malumori romani delle minoranze dem che promettono battaglia a partire dal 5 marzo, è chiaro che la leadership del segretario Dem sia già sotto assedio. E in fin dei conti il motivo è sempre lo stesso: metodi non condivisi da tutti ma portati avanti dal segretario pur di far eleggere o preservare i suoi fedelissimi, anche a costo di mettere a repentaglio la stabilità stessa del partito (sempre meno Pd e più PdR). Forzature messe in pratica anche nell’attività parlamentare e di governo con leggi approvate a colpi di fiducia oppure in fretta e furia senza possibilità di discussione. Insomma, i metodi che hanno reso famoso Renzi sempre meno per eventuali qualità da “statista” e sempre più per quelle del bullo. E ora i tutti i nodi sembrano arrivare al pettine. Con questo clima interno, la rimonta elettorale “alla portata” secondo Renzi, torna ad essere (qualora lo sia mai stata) un lontano miraggio.