Possiamo sconfiggere i nostri nemici in Afghanistan?

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Possiamo sconfiggere i nostri nemici in Afghanistan?

21 Marzo 2009

In base alla mia esperienza sul campo, maturata in Iraq, Asia sudorientale, Afganistan e Pakistan tra il 2005 e il 2008, ritengo che l’attuale generazione di combattenti, all’interno della più ampia confederazione talebana (che approssimativamente raggruppa cellule dei vecchi Talebani con nazionalisti Pashtun, guerrieri tribali ed estremisti religiosi), rappresenti il nemico tatticamente più competente che ci troviamo attualmente ad affrontare su ogni fronte. Il mio giudizio si basa su quattro fattori: la struttura organizzativa, la motivazione, l’abilità nel combattimento e l’equipaggiamento.

La struttura organizzativa dei Talebani cambia da un distretto all’altro, ma in larga misura si tratta semplicemente di alcune variazioni sul modello generico di una struttura costruita attorno ad un network locale clandestino, una rete di guerriglieri full-time che costituisce la forza centrale del sistema e che viaggia da una vallata all’altra, cui si aggiunge poi un network part-time, costituito dagli abitanti del posto che collaborano con i guerriglieri stessi quando questi si trovano nella loro area. Nei distretti vicini al confine con il Pakistan, giovani uomini usciti dalle madrase pakistane si spostano continuamente lungo la frontiera per unirsi alla forza centrale quando intraprende combattimenti più duri, come è accaduto nella battaglia del 2006 nella provincia di Kandahar, ed ancora nelle fasi di scontro del 2007 e 2008.

Queste motivazioni dalle varie sfaccettature forniscono ai combattenti talebani una disciplina molto forte, ma anche elastica. Sebbene ci si possano presentare delle occasioni per “dividere e conquistare” elementi del nemico, in pratica i collegamenti locali tendono ad avere peso di gran lunga maggiore rispetto all’influenza del governo. Quindi è necessario indurre i leader tribali e della comunità – che godono del rispetto e della lealtà di tutti gli elementi di quel network part-time già descritto – a smettere di essere fedeli alla forza centrale dei Talebani. Fare appello agli interessi personali dei leader di cellule locali clandestine può anche aiutare ad isolarli dall’influenza dei più alti capi Talebani, che al momento si trovano al sicuro in Pakistan.

Ovviamente, i legami motivazionali più deboli all’interno della confederazione talebana sono quelli che si basano sulla sindrome del “guerrigliero per caso”, figura in cui si trasformano tutti i combattenti part-time locali, che decidono di combattere al fianco della forza centrale ogni volta che questa si viene a trovare nella loro zona. Le misure di sicurezza locale, come i gruppi di sorveglianza del vicinato e le unità di polizia ausiliaria, la creazione di organizzazioni alternative e di percorsi di vita per i giovani (incluso un lavoro ed un network sociale), la protezione dalle intimidazioni dei Talebani, ed attività economiche alternative sono tutti potenziali approcci per sottrarre ogni individuo all’influenza della forza centrale talebana. Quest’ultima ha un altissimo grado di coesione al suo interno nella maggior parte dei distretti e si mostra relativamente invulnerabile a penetrazioni o infiltrazioni dirette. Eppure l’abitudine a reclutare combattenti locali part-time, per sostenere la forza centrale, anche attraverso un reclutamento forzato, potrebbe esporre la stessa forza centrale ad infiltrazioni indirette.

Punti di forza dei Talebani.
In termini di abilità nel combattimento, stando a quanto riportato dalle unità sul campo, così come in base alle mie osservazioni dirette, si può evincere che i Talebani mostrino una grande competenza in alcune aree, ma anche alcune lacune ugualmente significative in altre. I campi chiave in cui prevalgono le loro abilità sono le imboscate, l’uso di ordigni esplosivi improvvisati (IED – improvised explosive devices), cecchinaggio, la difesa sul campo e la ricognizione. I punti deboli invece includono una tendenza ad operare secondo schemi di routine, la mancanza di sicurezza nelle comunicazioni, scarse abilità negli attacchi indiretti, dispersione nei movimenti tattici e mancanza di rigore nella sicurezza contro le infiltrazioni al confine.

I gruppi ribelli hanno preparato imboscate coinvolgendo fino a diverse centinaia di combattenti, attraverso l’utilizzo coordinato di mortai, missili e cecchini per colpire le truppe di coalizione nella zona dell’attacco. Le tattiche adottate includono l’uso di schemi a L o a T per sorprendere le truppe in un fuoco incrociato. I talebani hanno dimostrato una buona disciplina con le armi a fuoco e una grande abilità nel tiro, riuscendo al tempo stesso ad esercitare un adeguato controllo tattico. Sebbene in molte occasioni abbiano sofferto la perdita di numerosi uomini, hanno sempre mostrato uno spirito aggressivo ed una ferma volontà nell’accettare gravi perdite pur di portare a conclusione un attacco.

Una grande cura nel piazzare le mine, una buona mimetizzazione, l’impiego di artiglieria inesplosa o modificata, l’utilizzo di esche e di ordigni secondari, attacchi innescati intenzionalmente (per trarre in trappola coloro che rispondevano per primi o le principali forze militari e di polizia), i punti di osservazione nascosti, le postazioni dei cecchini e le imboscate sono tutte caratteristiche della tecnica IED dei ribelli, che ha mostrato sostanziali miglioramenti (soprattutto nel sud) negli ultimi anni, registrando anche un aumento estremamente significativo nel prevalere degli attacchi suicida stile-Iraq, in cui si utilizzano auto con bombe, cinture esplosive o mine. Sebbene gli attacchi IED non abbiano ancora raggiunto il livello di quelli che si registravano in Iraq prima del “surge”, nella maggior parte dei casi questo si spiega per la minore densità di popolazione e per la scarsità di artiglieria a livello militare, piuttosto che per la mancanza di capacità. In ogni caso, a partire dal 2007-2008 con il successo del “surge” in Iraq nel ridurre gli episodi di violenza, l’Afghanistan ha superato lo stato iracheno per il numero di vittime della coalizione causate attraverso l’utilizzo degli IED.

Grande competenza viene poi dimostrata nell’utilizzo dei cecchini, che agiscono in coppia coordinandosi via radio (sia tra loro che con le forze di manovra) e che rappresentano un elemento chiave nelle abilità tattiche dei ribelli, ancor più sofisticate a partire dal 2005. Mimetizzazione, stalking, utilizzo di strumenti ottici ad alta potenza, ed un impegno all’azione ben coordinato sono tutti segni di un crescente grado di professionalità dei cecchini del nemico, che sono passati dalla categoria di “tiratori scelti” a veri e propri cecchini in coppia, nel senso militare professionale. E questo ci rivela come debba esserci stato per lo meno un minimo di allenamento tenuto da cecchini militari professionalmente qualificati, o da combattenti stranieri (come i Ceceni) con una precedente esperienza di cecchini sul campo. Lo stesso fatto mostra inoltre un’enfasi nell’allenamento e nella preparazione che era invece mancata in alcuni degli sforzi ad hoc posti in essere dai Talebani negli anni precedenti.

La difesa sul campo di Pashmul e di Panjwai durante l’operazione Medusa nel 2006, in una fertile area di campagna, con piccoli campi, frutteti e siepi che i Sovietici chiamavano “la cintura verde” e in cui hanno fatto molte vittime, ha dato prova di una preparazione intensiva e di grandi abilità. Lo stesso livello di professionalità nella difesa sul campo è stato rilevato anche in numerose operazioni successive. Un buon uso del terreno, una previdente registrazione di tutte le zone a rischio e dei punti di attacco (una tecnica con la quale gli uomini armati di mortaio e artiglieria pesante si recano sul terreno prima della battaglia e sistemano i loro punti da cui prendere la mira con la massima efficacia) e l’utilizzo di bunker, trincee sotterranee, tunnel, nascondigli, piani ad ostacoli evidenziano questa abilità tattica. Durante gli scontri del 2006, dato che in larga misura coloro che combattevano erano giovani senza esperienza appena usciti dalle madrase pakistane, venivano uccisi ogni giorno a dozzine dalle forze aeree della coalizione ai primi approcci alla battaglia. Ma una volta che riuscivano a raccogliersi nelle loro zone difensive, diventava estremamente difficile riuscire a farli uscire.

Infine, in termini di forze, i ribelli hanno mostrato un’incredibile capacità di ricognizione e di raccolta di informazioni, utilizzando gli abitanti locali dei villaggi e le cellule clandestine per colpire gli obiettivi, attraverso un’osservazione a distanza dalle colline dominanti e attraverso spostamenti di giorno e di notte nelle aree montuose e ricche di vegetazione (in particolare nelle colline orientali e nella “cintura verde” nella provincia dell’Helmand e nelle valli del fiume Arghandab). Alcuni ribelli sono stati anche molto abili nel servirsi di informatori locali e di posti di blocco illegali per ottenere e sfruttare informazioni sulla popolazione.

Punti deboli.
Dal punto di vista tattico, il principale elemento di debolezza nell’azione dei ribelli è rappresentato dalla tendenza a seguire degli schemi di routine. Dato che alcuni grandi leader stanno agendo nelle stesse aree da diversi anni, e dato che il terreno limita le opzioni di manovra (la maggior parte delle vallate, ad esempio, ha solamente una via d’entrata e d’uscita), alcuni gruppi di insorti hanno cominciato a stabilire degli schemi e ad operare seguendo una routine, in modo del tutto ripetitivo. Questo crea dei punti di vulnerabilità ben sfruttabili. Ad esempio, i guerriglieri locali generalmente aspettano che un convoglio della Coalizione entri in una vallata per poi cercare di tendergli un agguato, secondo una serie di punti di attacco “tradizionali”. Questa tendenza, notata anche dagli osservatori dei mujaheddin che agivano contro i Sovietici negli anni Ottanta, sembra essere molto diffusa ed esisterebbe un buon modo per sfruttarla: basterebbe lavorare insieme ai partner locali e condurre un’operazione per identificare i punti tradizionali di agguato in una determinata valle e quindi inviare una forza in quella stessa valle, attendendo il momento in cui il nemico si sposta in quei punti cruciali d’attacco, colpendo a quel punto le sue posizioni da postazioni aeree e indirette. Allo stesso modo, a parte una certa competenza nell’uso dei missili e delle granate con propulsione a razzo (RPG) in modalità di attacco semi-indiretto, le capacità dei ribelli nelle operazioni con il mortaio sembrano meno sviluppate che in altre aree. In alcuni distretti (soprattutto in quelli lungo il confine pakistano) le loro competenze sono più avanzate, ma in generale possiamo dire che si tratta di un settore in cui hanno ancora molto da imparare. Dato che lavorare con il mortaio è giustamente un’abilità tecnica, futuri miglioramenti in questo campo potrebbero segnalare un più alto grado di assistenza proveniente dagli sponsor che si trovano in Pakistan.

Recentemente ci sono stati numerosi esempi di ribelli radunatisi in gran numero (fino a 250 combattenti) all’aperto, spesso di notte, solamente per combattere contro il fuoco indiretto o contro le forze aeree, subendo significative perdite. Ancora, durante gli scontri intorno a Pashmul nel settembre del 2006, i ribelli hanno perso centinaia di uomini che si spostavano allo scoperto su furgoncini diretti sul luogo del combattimento. Mentre nell’autunno del 2008 si sono verificati numerosi attacchi coordinati su larga-scala nelle basi britanniche e nei centri della popolazione nella provincia di Helmand. Combattimenti di questo genere il più delle volte causano la morte dei guerriglieri giovani ed inesperti, piuttosto che delle cellule più vecchie che tendono a tirarsi indietro nella lotta, limitandosi a dare direttive ai giovani combattenti fanatici, senza esporre se stessi ad alcun rischio.

© National Review Online
Traduzione Benedetta Mangano