Possono i democratici mandare all’aria i successi di Petraeus?
09 Aprile 2008
di redazione
Nel momento in cui il Generale David Petraeus si rivolge al Congresso degli Stati Uniti, il fatto che la “surge” irachena ha raggiunto risultati notevoli appare chiaro a tutti. Il successo più importante è che gli Usa non possono più essere battuti militarmente in Iraq, cosa che non si sarebbe potuta dire un anno fa. Il problema ora è un altro, ovvero se il governo di Washington farà in modo di mandare rapidamente all’aria tutto quello che è stato acquisito con così tanta fatica, facendo perdere agli Stati Uniti la battaglia politica.
Sedici mesi dopo il cambio di strategia ordinato da parte del Presidente Bush, questa surge si è ritagliata un posto d’onore negli annali americani come una tra le più importanti contro offensive militari di tutti i tempi. Quando è cominciata, al-Qaeda dominava ancora ampie zone nel centro dell’Iraq, Baghdad era una città di morte, gli sciiti e i sunniti si stavano avviando verso la guerra civile, e il governo iracheno era un fallimento.
Il simposio di Washington – sostenuto dal rapporto Baker-Hamilton – considerava il ritiro l’unica opzione plausibile. “Questa è una guerra persa”, dichiarava il Capo della Maggioranza al Senato Harry Reid (Democratico –Nevada) ad Aprile del 2007, dicendo in pratica che i soldati americani dovevano tornare a casa perché stavano rischiando la vita per niente. Ancora, non più tardi dello scorso settembre, Hillary Clinton aveva la faccia tosta di dare una lezione al Generale Petraeus durante una udienza al Senato: “i resoconti da lei proposti ci richiedono la strenua volontà di sospendere la nostra incredulità”.
Al giorno d’oggi, al-Qaeda è stata scacciata ovunque, a parte le zone più a nord delle province di Anbar e Diyala, gli iracheni si sentono di poter tornare alle loro vite normali, gli Sceicchi sunniti lavorano insieme alle forze di coalizione e il lungo processo della riconciliazione tra le due fazioni religiose musulmane è iniziato. La “surge” ha paralizzato l’offensiva del nemico in maniera così rapida che si merita di essere studiata per anni come l’esempio di una contro-offensiva veramente efficace.
Si, è vero, questi progressi hanno richiesto, in effetti, anche un po’ di fortuna oltre all’aiuto degli iracheni. Al-Qaeda in Iraq ha calcato troppo la mano e lo ha fatto con una brutalità tale da inimicarsi gli iracheni sunniti. Quattro anni di guerra hanno fatto sì che questi si stancassero della violenza, i sunniti – dal canto loro – hanno iniziato a capire che non avrebbero potuto trionfare in una guerra civile contro gli sciiti, ma che avrebbero potuto utilizzare gli americani come leva per ottenere di più dalle trattative. Infatti, circa 90.000 sunniti facenti parte del movimento “Figli dell’Iraq” stanno ora effettivamente collaborando con gli Usa.
Comunque, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile se gli iracheni non avessero toccato con mano il fatto che gli americani erano lì per proteggerli. Il Generale Petraeus e il suo secondo, Il Luogotenente Generale Ray Odierno hanno perseguito una strategia che ha messo al sicuro la popolazione mentre al contempo portava avanti le offensive contro al-Qaeda. Le truppe americane e irachene si spostavano nei quartieri e vivevano in mezzo agli iracheni, che in cambio hanno iniziato a fornire preziose informazioni riguardo ai movimenti dei terroristi. Questa strategia ha portato ad una notevole riduzione della violenza anche più velocemente di quanto gli architetti della surge sperassero.
Mentre i Democratici si ostinano a sostenere che il progresso politico in Iraq sarà possibile soltanto quando gli Stati Uniti si ritireranno, la surge ha dimostrato il contrario. Una sicurezza maggiore ha richiesto una maggiore presenza dei soldati americani, che in cambio ha fatto sentire gli iracheni più fiduciosi nei confronti del compromesso. Il progresso politico, invece, è stato alquanto significativo al livello locale, dove si è assistito ad una più efficace cooperazione dei capi tribù e dei consigli distrettuali. La maggior parte dei sunniti, ha poi dichiarato che parteciperà alle elezioni provinciali del prossimo autunno, e si prevedono più soldi ricavati dalla vendita del petrolio che fluiranno dalla capitale alle province.
C’è ancora molto da fare, naturalmente, e un ritiro prematuro degli Stati Uniti metterebbe questi guadagni a repentaglio. Bisogna ancora spazzare via al-Qaeda da Mosul e dalla parte settentrionale della provincia di Diyala, possibilmente con la stessa strategia congiunta iracheno-statunitense che ha funzionato a Baghdad. Le vie d’accesso dei terroristi da ovest di Mosul e dal nord di Diyala devono ancora essere bloccate in qualche modo. E, come abbiamo appreso dalle ultime due settimane, le Forze di Sicurezza irachene non sono in grado da sole di imporre un monopolio della forza a Bassora e nel sud sciita.
Le truppe irachene hanno in realtà fatto progressi come forze combattenti, ma gli serve ancora l’aiuto degli americani per le operazioni più difficili. Seppur maldestramente pianificata, l’offensiva di Bassora ha dimostrato che il Primo Ministro Nouri al-Maliki si è finalmente deciso a combattere le bande armate sciite. Anche se i media Usa hanno descritto la battaglia di Bassora come una scaramuccia tra sciiti e quindi alla stregua di un altro esempio di “guerra civile” in fieri, non bisogna dimenticare che la guerriglia rappresenta un tentativo da parte del governo di Teheran di mettere zizzania e indebolire l’esecutivo di Maliki in favore degli alleati iraniani.
Gli Usa sono sempre stati recalcitranti ad intervenire nel territorio di Bassora, assegnato ai britannici come parte della coalizione. Però è anche vero che resistere all’influenza iraniana è un interesse nazionale degli americani e Bassora rappresenta un fronte cruciale in questo senso. Per quanto riguarda gli inglesi, il loro fallito tentativo di contro insurrezione ha lasciato un vuoto di potere a Bassora che i “gruppi speciali” di provenienza iraniana hanno riempito. Gli inglesi hanno compiuto lo stesso tipo di errore strategico che gli ex-comandanti americani George Casey e John Abizaid hanno fatto a Baghdad nel 2006. Gli americani dovranno, a questo punto, dispiegare uno due battaglioni in più a Bassora per aiutare il governo Maliki a controllare la città.
Le cinque brigate della surge Usa dovranno ritornare a casa entro luglio e il Congresso americano dovrebbe chiedere a Petraeus se questa fretta non lo renda per caso irrequieto. Il Generale deve resistere ad una enorme pressione, specialmente da parte dell’esercito, che gli chiede di rimandare le truppe a casa. Se, però, tre di queste brigate dovessero bastare a solidificare i guadagni raggiunti con la “surge” rimanendo in Iraq per qualche mese in più, allora Petraeus dovrebbe farlo sapere. Uno degli errori del Presidente Bush, infatti, è stato quello di fare troppo riferimento a quei tromboni del Pentagono che hanno sempre avuto in mente l’idea di abbandonare l’Iraq.
Gli americani sono comprensibilmente stufi della guerra, ma a questo punto abbiamo sacrificato troppo e fatto troppi progressi nel corso dell’ultimo anno, per poterci permettere di lasciare proprio ora. La surge è riuscita a evitare una umiliante sconfitta militare, ora è tempo di mantenere questo impegno in modo da conseguire una vittoria politica.
© Wall Street Journal – Traduzione Andrea Holzer