Poste e ferrovie. Si parla di efficienza ma poi il ritardo è la norma

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Poste e ferrovie. Si parla di efficienza ma poi il ritardo è la norma

05 Giugno 2010

Certo che siamo uno strano paese dove chi ha il compito di erogare servizi essenziali al cittadino lo fa piuttosto alla carlona, occupandosi magari di altre attività più remunerative con maggiore attenzione.
E’ normale poi vedere richiamati termini come "efficienza", "trasparenza", "customer service" (l’inglese fa sempre la sua figura per l’immagine) salvo poi arrestare il modo di operare anglosassone alle parole mentre, nei fatti, il cittadino non è mai utente (e tanti saluti al customer service) ma piuttosto è trattato come suddito o, al più, come uno dei tanti del "parco buoi" come vengono chiamati dispregiativamente i piccoli risparmiatori che si avvicinano alla Borsa venendone spremuti dai soliti noti.

Sono queste le considerazioni seccanti che si affollano nella mia mente da tempo, sempre più spesso, vedendo come vengono gestiti alcuni servizi nel nostro paese. Bastano due esempi per comprendere le ragioni del mio stato d’animo: Poste Italiane e Ferrovie dello Stato. Andando negli uffici postali sei assediato da pubblicità accattivanti e da iniziative di tutti i tipi che mostrano come la Società si stia spingendo sempre più verso nuovi terreni di businnes oltre quelli storici.

Oggi ti vendono libri e dischi, matite colorate come un qualunque edicolante, offrono servizi bancari, assicurativi, consulenza finanziaria; per ultimo si sono anche lanciati nella telefonia mobile come operatore virtuale. A priori non avrei alcuna critica da sollevare al riguardo, così fanno società analoghe in tutti i paesi avanzati. Addirittura dovrei plaudere a questa evoluzione perché aumentando il numero di operatori nei vari settori si dovrebbe (e qui mantengo volutamente il condizionale) favorire la competizione e la concorrenza a vantaggio del cliente.

Io però sono uno all’antica e mi domando: ma il ruolo storico ed istituzionale di gestire la raccolta e la distribuzione della posta che fine ha fatto? Mi chiedo, è mai possibile che negli USA, che hanno le dimensioni di un continente,  una lettera spedita la sera a New York arriva il mattino dopo a Los Angeles? Tre fusi orari di differenza e oltre 3000 kilometri di distanza tra le due città.

Mi chiedo ancora, come mai lo stesso avviene in Francia dove tutti gli uffici postali sono aperti, sabato incluso, anche nelle ore pomeridiane? E dove, da italiano che ci ha vissuto oltre dieci anni, ho dovuto confrontarmi con la vergogna di esserlo quando inviavo una raccomandata all’estero e mi veniva comunicato (e così accadeva) il giorno esatto del suo arrivo, mai superiore a tre giorni.

Per l’Italia invece non fornivano alcuna data, né alcuna garanzia perché la lettera partiva ma, da allora, ti confermavano che "non se ne aveva più notizia né alcuna tracciabilità". Affidata al caso, arrivava quando arrivava: in genere in un lasso di tempo variabile, a caso, da quattro giorni ad una settimana abbondante visto, evidentemente, il penoso viaggio che la diligenza doveva compiere lungo lo stivale.
Mi chiedo perché, almeno a Roma, la posta il sabato non viene distribuita? Forse per non far stressare la clientela perché una lettera potrebbe portare cattive notizie rovinando il fine settimana fuori porta? e se le notizie fossero buone? Meglio aspettare sino al lunedì: l’attesa, è noto, acuisce il piacere.
Certo che siamo uno strano paese!

In questi giorni, secondo esempio, i giornali riportano della querelle tra il PM di Torino Guariniello, che sta indagando sui ritardi dei treni italiani a seguito di svariate denunce dei viaggiatori, ed il Presidente delle F.S., Moretti, che ribadisce che la situazione non è affatto come si crede , anzi 15 minuti di ritardo sono da considerare "un margine tollerabile".

Ma tollerabile da chi ingegnere? E per quali motivi la clientela dovrebbe tollerare? Perché un utente deve pagare un servizio sempre più caro e non rispondente alle promesse pubblicitarie quando lo stesso è venduto? E’ inutile ed imbarazzante fare confronti con analoghi servizi del trasporto ferroviario di altri paesi europei per i quali la puntualità è norma: ne usciremmo pesantemente perdenti.

Ma facciamo invece due conti in casa nostra: è ben noto che le statistiche ognuno se le gioca come meglio gli conviene per cui Moretti sostiene che lo 87.3 % dei treni "è in orario entro 15 minuti di tolleranza". Ecco già un salto di qualità culturale non indifferente: la puntualità dei treni viene equiparata al famigerato quarto d’ora accademico che moltissimi docenti universitari (per fortuna non tutti) grattano alle loro ore di lezione in aula.

Io, per lavoro, viaggio spesso tra Roma e Napoli: ebbene, troppo spesso il treno alta velocità proveniente da Bologna in prosecuzione alle 9 per Napoli arriva con 10-15 minuti di ritardo che, nel migliore dei casi, mantiene all’arrivo nella capitale flegrea.

Poiché la durata nominale del viaggio è di 70 minuti, 15 diviso 70 fa 21,47 per cento: cioè il ritardo su questa tratta che è corta allunga la durata del viaggio di oltre il 21%, un quinto. Valutazioni così però TrenItalia non le fa preferendo spalmare i ritardi sull’intero percorso di un treno di modo che non emergono lacune di questo livello e si trincera dietro l’inverosimile scusa della "tolleranza ragionevole".

Basterebbe avere il coraggio di assumere le proprie responsabilità comunicando all’utenza le proprie scuse ed indicando come e quando questi problemi potrebbero essere risolti. Questo, però, significherebbe effettivamente avere comportamenti in sintonia con il decantato "customer service", in stile anglosassone. Invece siamo in Italia e lo stesso presidente delle F.S. scivolò tempo fa, d’inverno, su battute non felici quando i treni si bloccavano per il ghiaccio ed i passeggeri rimanevano imprigionati al freddo per ore nelle vetture; lui, se ricordo bene, consigliò di partire in viaggio premuniti con coperte di lana e panini di riserva: umorismo molto inglese. Certo che siamo uno strano paese, e nessuno prova a cambiarlo, purtroppo.