Poteva accadere di tutto a St. Urbain Street

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Poteva accadere di tutto a St. Urbain Street

09 Novembre 2008

Una lunga strada che attraversa un quartiere ai margini di una grande città canadese. Una strada nella quale si sono consumate storie, si sono incrociati destini e hanno avuto luogo eventi di ogni genere. Una via che ha assistito alle dinamiche di una società febbrile, brillante e ricca di qualità. Sui suoi marciapiedi si sono sviluppati amori, sofferenze, attese piene di speranza e delusioni lancinanti. E’ questa St. Urbain Street a Montreal: una via lungo la quale, fino alla fine degli anni Sessanta, si snodava una delle comunità ebraiche più vivaci d’America.Un piccolo mondo, forte delle sue regole antiche, in cui è cresciuto e si è formato anche lo scrittore Mordecai Richler, balzato agli onori della cronaca in Italia, nel 2000, con ‘La versione di Barney’. Un mondo, si potrebbe aggiungere, che Mordecai non ha mai dimenticato e che gli è restato impresso nella memoria. Anche dopo essersi allontanato da St Urbain Street, le atmosfere del suo quartiere lo hanno accompagnato nelle diverse fasi della sua vita. Atmosfere, emozioni, piccole storie che rivivono nel volume "The street", apparso in Canada nel 1969, ora pubblicato nel nostro Paese dall’Adelphi con il titolo di "Le meraviglie di St. Urbain Street".

Mordecai Richler descrive le usanze, la cultura e i riti della sua gente. Mette in scena, soprattutto, la sua vicenda personale ed il cammino che ha percorso durante la sua infanzia e giovinezza. Richler è nato nel 1931 a St. Urbain Street, nel quartiere ebraico alla periferia di Montreal. La sua era una tipica famiglia dell’epoca: il padre era un rigattiere che disponeva di poche risorse e Mordecai fu costretto ad arrangiarsi come molti suoi coetanei. Insieme a tanti altri ragazzi della sua generazione ha vissuto fuori casa, avvertendo gli umori più schietti della strada dalla quale, in fondo, è stato allevato. Fino ai tredici anni ha frequentato la scuola ebraica ortodossa, la Jewish parochial school, studiando il Talmud. Quando, però, i suoi genitori si separarono cominciò a non osservare più i precetti che aveva appreso. E’ da qui che iniziano i suoi tanti ricordi che confluiscono nel libro in modo disordinato formando un quadro eterogeneo e stratificato. Mordecai rappresenta la sua comunità: mette in luce frammenti di una realtà forse scomparsa che hanno sempre caratterizzato il suo universo creativo.

Richler compone il volume molti anni dopo aver abbandonato la strada. Giunto a metà della sua carriera, concedendosi una pausa dai lavori più pesanti ed impegnativi, riprende il filo della memoria. Introduce nel racconto i personaggi che hanno animato le opere maggiori anche se li abbozza senza approfondirne la personalità. I suoi compagni di viaggio, nella vita e nella professione, i Kravitz, i Gursky ed i Panofsky muovono con lui i primi passi. In questa prova letteraria, come anche in altri romanzi, la cifra dominante è costituita dall’autobiografismo. Lo scrittore canadese, infatti, descrive le sue avventure facendosi seguire dai suoi amici, ragazzi che hanno condiviso con lui esperienze ed emozioni. Tra tutti spicca Duddy Kravitz, in veste di comprimario, confidente ed alter-ego del protagonista. Come trascorrevano il tempo i giovani cresciuti a St Urbain Street? Cosa facevano e a quali attività si dedicavano in quegli anni? Mordecai Richler non nasconde il suo passato. Svela, pagina dopo pagina, la passione che i suoi amici nutrivano per il business e per i guadagni facili. Mette a nudo, ad esempio, le attività lucrose di Duddy pronto a vendere un piccolo manuale che lui stesso aveva redatto in cui insegnava a sedurre le ragazze. Un manuale in cui aveva inserito tecniche innovative grazie alle quali sperava di raggranellare qualche soldo. L’universo ebraico, ai margini di Montreal, non era un luogo chiuso ed impenetrabile. Il confronto con i "gentili" era una via obbligata che celava anche dei tratti comici ed ironici. A St Urbain Street arrivò Mervyn Kaplansky, un aspirante scrittore con un progetto davvero dirompente. Voleva elaborare un romanzo satirico, "Gli sporchi ebrei", che avrebbe potuto suonare come una grande offesa per la comunità che lo ospitava. Le sue velleità artistiche non riuscirono a concretizzarsi. Kaplansky non fu in grado di coinvolgere alcun editore ed il suo progetto naufragò miseramente. Nonostante tutto ottenne un risultato inatteso. Conobbe una ragazza osservante, vicina alla tradizione ebraica più intransigente, con la quale iniziò una relazione sentimentale. Venne accolto dalla sua famiglia che era ben disposta ad accettarlo come figlio. Eppure l’aspirante scrittore, pur di non ammettere il suo insuccesso, decise di ritornare tra i suoi simili.

Sono tanti i dettagli e le storie che emergono dal passato nel racconto di Richler. Legato al suo territorio, lo scrittore canadese ha ambientato molti suoi libri nei luoghi in cui ha visto la luce. La cultura ebraica alla quale appartiene gli ha insegnato ad essere pungente. I contatti con la società anglosassone del Canada, del resto, sono sempre stati molto forti e fecondi. Uno dei temi che hanno dominato la sua produzione è la stretta relazione con la comunità d’origine. Fin dalle sue prime prove alla metà degli anni Cinquanta, infatti, Mordecai ha riprodotto gli schemi sociali del suo mondo. Un vincolo che torna a vivere anche ne "Le meraviglie di St. Urbain Street", con buoni risultati dando luogo ad un ritratto piacevole di un microcosmo tutto da scoprire.