Premiare il merito dovrebbe essere il faro di ogni riforma scolastica
07 Giugno 2012
“Per essere più chiari, credo che sia necessario partire dai numeri. Abbiamo messo a disposizione della lotta alla dispersione scolastica oltre un miliardo. Le risorse investite per promuovere il merito saranno circa 30 milioni di euro”. Si tratta di un estratto dell’intervista rilasciata martedì 5 Giugno dal ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo, a L’Unità. Eppure, la bozza di riforma scolastica anticipata sulle colonne de La Repubblica domenica scorsa sta sollevando (a sinistra, ndr) non poche polemiche.
Nel corso del colloquio con il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, infatti, il ministro è stato costretto a compiere una parziale retromarcia. O meglio, ha dovuto porre l’attenzione non solo sull’eterna questione legata alla valorizzazione del merito nelle scuole e nelle università italiane, ma anche, soprattutto, su altri temi cari alla sinistra: dalla dispersione scolastica al diritto allo studio, al fine, evidentemente, di non alterare i fragili equilibri dell’attuale maggioranza.
Un vero e proprio vespaio di polemiche, dicevamo. Dal già ministro dell’Istruzione del secondo governo Prodi, Giuseppe Fioroni, secondo cui “dovremmo occuparci innanzitutto della grande dispersione scolastica e migliorare le competenze dei nostri studenti, oggi sotto la media Ocse”, al responsabile scuola del Partito democratico, Francesca Puglisi, che individua “nella scuola dell’infanzia, tempo pieno e lotta alla dispersione scolastica, soprattutto nelle periferie urbane la vera priorità”.
Ma cosa prevede, dal lato della premialità del merito, la bozza Profumo? In primis, ogni istituto superiore dovrà scegliere ‘lo studente dell’anno’ in base al voto di maturità e alla media degli ultimi 3 anni, con annessa relativa riduzione del 30% delle tasse per il primo anno d’università; in secondo luogo, i titolari delle cattedre degli atenei dovranno garantire, in funzione anti-assenteismo, almeno 100 ore di lezione; in più, verranno garantiti dei bonus ai ricercatori più capaci. E ancora, sgravi fiscali alle imprese che assumeranno gli studenti più bravi attraverso la previsione di un elenco dei laureati migliori, fornito dalle università e pubblicato sul sito del ministero. Inoltre, test per le matricole per comprendere appieno la validità della scelta appena effettuata; e infine, internazionalizzazione degli atenei: previsione di fondi per attrarre docenza estera e incentivare pubblicazioni in lingua inglese.
Ora, il progetto riformista e riformatore del ministro si presta a numerose obiezioni anche sul fronte liberale. E’ sempre di martedì 5, un articolo apparso su Il Giornale a firma Giorgio Israel, di critica nei confronti di quanto paventato dalla bozza di riforma Profumo. Israel imputa a Profumo la volontà di trasporre all’interno degli istituti scolastici e delle università la stessa ‘ideologia tecnocratica’ che ha portato Monti & co. al governo lo scorso Novembre. “Un’ideologia che mette le persone in secondo piano, e vuole trattare il sistema come una catena di produzione di merci di cui occorre controllare i requisiti di qualità secondo i criteri oggettivi”. Nella fattispecie, emerge dall’analisi di Israel un secco niet alla logica del premio allo ‘studente dell’anno’, capace esclusivamente di creare un’errata dicotomia tra ‘eccellenza’ – concetto ben diverso dal merito – e ‘mediocrità’. In altre parole, la discussione non dovrebbe riguardare l’individuazione di un aleatorio concetto di merito, bensì come valorizzarlo.
Tuttavia, il tentativo del titolare di Viale Trastevere di prodigarsi affinché faro di scuole e università italiane diventi il merito, appare senz’ombra di dubbio positivo. E’ quanto mai avvilente, quindi, ascoltare da sinistra vari ed eventuali smarcamenti. Un riflesso pavloviano assolutamente inspiegabile, in grado di immettere nell’opinione pubblica l’idea per cui le forze di centro-sinistra siano in realtà contrarie alla valorizzazione dei più meritevoli. Un eterno ancoraggio, verrebbe da pensare, a quell’imperante egualitarismo di massa della scuola italiana fatto di livellamento verso il basso, di garanzia nei confronti di tutti – bravi, meno bravi e somari – del minimo indispensabile.
E’ questo il vero punto della discussione. Per dirla con le parole di Israel, “chi ripropone la vecchia ricetta dell’egualitarismo non si rende conto di essere il principale responsabile della degenerazione del premio al merito nel premio all’eccezione. È indubbio che la vecchia scuola non fosse disegnata per tutti e, sebbene non le mancasse la capacità di promuovere i figli di famiglie modeste e incolte, andasse riformata per diventare scuola di tutti. Ma invece di scegliere l’unica via corretta, se pur difficile, di costruire un modello di massa che, offrendo pari opportunità di partenza, stimolasse a migliorare indicando un riferimento verso l’alto – indicando come modello da imitare i migliori e non i peggiori o i mediocri – i pedagogisti e riformatori “progressisti” (si fa per dire) hanno scelto il modello della mediocrità”.
Insomma, merito e mobilità sociale sono strettamente legati. Anzi, l’uno è il vero presupposto dell’altro. E’ il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria a disegnarne i contorni in un’intervista a La Repubblica di lunedì scorso: “Nella mia esperienza di strada, a Napoli, ho trovato ragazzi poveri e di straordinario talento. Ne ricordo uno: 9 e 10 al liceo, massimo dei voti nei primi tre anni di Giurisprudenza, poi non ce l’ho fatta più. La famiglia costretta a lavorare. Ci fossero state le aliquote ridotte per i meno abbienti forse quel ragazzo non avrebbe abbandonato l’università”. E forse, aggiungiamo noi, sarebbe potuto diventare un principe del foro di Napoli.