Prestigiacomo accusa gli ex An ma non fa nomi. La riforma del Pdl è urgente
27 Dicembre 2010
Sorprende che il ministro Stefania Prestigiacomo, dopo la bufera nella quale si è trovata al centro, forse per non aver saputo gestire al meglio il suo rapporto con la maggioranza, se ne esca ora, in una intervista al “Corriere della sera”, rivelando che “in questo Pdl mi sento sempre più a disagio”. Non spiega, curiosamente, perché, ma aggiunge che nel partito “si è creata un’atmosfera di caccia all’untore”, che “si fa politica con la bava alla bocca” e che si sente profondamente ferita dalla richiesta di dimissioni levatasi da ampi settori della maggioranza: “tutti ex An”, dice il ministro, ma non fa un nome che sia uno, così come non precisa come e quando si siano create le deprecabili situazioni che tanto accoratamente denuncia. Deve averci le sue buone ragioni, l’on. Prestigiacomo, per esprimersi in maniera così cruda. Ed allora sarebbe bene che circostanziasse le sue accuse per fugare, se non altro, dubbi sui suoi comportamenti politici.
Lo scrivente, per esempio, ha sempre nutrito stima e simpatia per l’on. Prestigiacomo: mai si sarebbe sognato di inveire contro di lei, né tantomeno di invitarla a dimettersi. Ed è un ex-An, peraltro non sentitosi mai in minoranza nel Pdl il cui percorso costituente ha pure apertamente criticato, perfino con espressioni forti, senza per questo ricevere alcun tipo di censura, con decine e decine di articoli giornalistici, qualche libro e in numerose conferenze. C’è tanto che non va in un partito che era prevedibile finisse nella palude in cui è finito: ma perché quando qualcuno osava mettere in dubbio le modalità di formazione del soggetto unitario, a cui pure con entusiasmo aveva lavorato, come il sottoscritto, fin dal 2002, non c’è stato nessuno che abbia avuto la voglia di interloquire, fosse pure soltanto per dissentire da ciò che si andava argomentando (e prevedendo) sulla fragilità del “partito del predellino”?
Oggi leggiamo esternazioni piuttosto estemporanee di questo o di quella, che guarda caso, non sono peones dell’ultima ora, ma dirigenti di primo piano del Pdl, ministri, sottosegretari, scontenti di ciò che hanno o sono diventati senza neppure chiedersi se ciò di cui dispongono per sostenere le loro idee lo utilizzino nella maniera più corretta. Mi permetto di nutrire qualche dubbio al riguardo. Anche perché quando ci si trova ad elaborare politiche che dovrebbero coinvolgere tutta la maggioranza, la domanda che dovrebbe porsi chi ne ha la responsabilità è se il confronto è stato realmente attivato oppure si pretende che ogni norma o decisione sia ottriata, calata dall’alto, accettata senza fiatare.
No, non funziona così in democrazia e per di più in un partito composito come il Pdl. Allora, l’appunto che mi permetto di muovere non al ministro Prestigiacomo, cui continuo a riconoscere passione e competenza, ma alla compagine governativa complessiva e, ancor più in particolare, alla classe dirigente del Pdl, è la pochezza e la superficialità nell’affrontare le grandi scelte politiche oltretutto mettendo sotto gli occhi dei parlamentari e dei dirigenti periferici obiettivi che potrebbero essere anche condivisi se soltanto venissero spiegati.
In altri termini, non è più possibile che un partito viva come se non fosse un partito, dal punto di vista organizzativo e culturale. E non vale obiettare che ben altri sono stati i problemi negli ultimi mesi che hanno impedito la riforma del Pdl, tante volte annunciata. Quando si vogliono ottenere risultati convergenti – nella fattispecie garantire la solidità della maggioranza e rendere il partito più coeso ed incisivo – è naturale lavorare parallelamente, con le strutture che si hanno, lungo i binari delle diverse situazioni al fine di ottenere uno scopo unitario.
E’ ciò che è mancato. Non so se ci sarà modo e tempo per riprendere il filo di un discorso che andava fatto molto prima. Resta comunque il problema che ci si avvii o meno alle elezioni, della riforma del partito oggettivamente non più procrastinabile. E con un traguardo ulteriore: il suo avvenire che non è legato soltanto, come si dice, a Berlusconi, ma alle diverse sensibilità che nel centrodestra si manifestano anche rumorosamente e che finalmente andrebbero amalgamate. Se non si procede speditamente su questa strada, il Pdl potrebbe trovarsi in breve tempo ad essere minoranza nel Paese. E allora, a chi si dovrebbe dare la colpa?